venerdì 6 novembre 2009

7. 2005 - INTRODUZIONE AL PRESEPE

Il Natale è la festa più umana della fede, perché ci fa percepire nella maniera più profonda l’umanità di Dio.
In nessun’altra parte diventa percepibile come nel presepio che cosa significa il fatto che Dio ha voluto essere “Emmanuele”, un “Dio con noi”, un Dio con cui abbiamo confidenza, perché ci viene incontro come un bambino.
Pertanto il Natale è anche in modo particolare una festa che ci invita a meditare e a riflettere interiormente sulla Parola”
Joseph Ratzinger


Forse non tutti sanno che le origini ed il termine presepio hanno radici ben antiche, di matrice etrusco - latina, sono una consuetudine pagana che non è stata assorbita nel processo di cristianizzazione del mondo, così come è avvenuto per altre festività.
Nasce dalla devozione per i larii, gli antenati defunti protettori della famiglia raffigurati con statuette di vari materiali, poste nella casa, chiamate sigillum; in occasione della festa Sigillaria (20 dicembre) i parenti si scambiavano in dono i sigilla dei defunti dell’anno, mentre i bambini disponevano le statuine in un piccolo recinto che rappresentava un ambiente bucolico. Nella vigilia la famiglia si ritrovava per pregare e lasciare cibo e vino, al mattino seguente al posto delle vivande i bambini trovavano giocattoli e dolci, “portati“ dagli antenati defunti.
Praesaepe significa infatti greppia, mangiatoia, ovvero luogo che ha davanti un recinto, composto da prae= innanzi e saepes= recinto.
Il Presepio, così come noi lo conosciamo, nasce a Greccio (Umbria) nel 1223 per ispirazione di San Francesco al ritorno del suo viaggio in Palestina, forse come icona della Terra Santa, per avvicinare quei luoghi lontani, per fare memoria di quel momento che ha cambiato il mondo, per raccontare in modo immediato e semplice la nascita del Salvatore, per stupire, per parlare ai cuori con l’immagine di un bimbo inerme che incarna la rivelazione di Dio, è l’Emmanuele, il Dio con noi.
Nei secoli ci sono state poi varie evoluzioni, fino a penetrare in profondità nella devozione popolare, di una festa, il Natale, che celebra la nascita, la vita terrena, forse più sentita della Pasqua, la più importante festa cristiana, che celebra la morte, la resurrezione e la vita eterna.
Una tematica a cui ispirare la tradizionale rappresentazione della nascita di Gesù, è da ritenersi irrinunciabile, per non cadere in virtuosismi tecnologici o per non farsi prendere la mano dalla rappresentazione in se, senza avere nulla da comunicare, senza essere spunto di riflessione, ma solo un mero lavoro di artigianato artistico, anche pregevole, ma con il rischio di essere fine a se stesso.
Il Presepio deve essere come un’opera d’arte, comunicare emozioni, guidare nel mistero della natività, deve spingere dentro la grotta, oltre i fondali, tra i personaggi che lo animano.
Lo stile espressivo di questo presepio potrebbe essere definito impressionistico; infatti sono stati tralasciati tutti quei possibili particolari, anche pregevoli, per concentrare la scena sugli eventi, sui personaggi, utilizzando anche tecniche realizzative relativamente semplici e tradizionali, con modesto supporto di quei mezzi tecnologici che consentono la realizzazione di opere anche estremamente complesse, con un notevole impatto visivo..

giovedì 5 novembre 2009

mercoledì 4 novembre 2009

martedì 3 novembre 2009

3. 2007 - Il Natale di LUCA e MATTEO: Gesù luce del momdo e salvezza delle genti




Premessa:
Gesù Luce del Mondo, Salvezza delle Genti

Questo è il tema del Presepio 2007, una rappresentazione tradizionale, della Natività, secondo una lettura dei testi Evangelici di Matteo “l’ebreo”, Luca “lo storico” e Giovanni “il teologo” interpretati con scrupolosa fedeltà letteraria, ma anche alla luce dei testi biblici, specie profetici, degli studi di biblisti, teologi e storici, le chiavi dell’ archeologia, gli usi e costumi del tempo, frutto anche di una lunga e spero approfondita ricerca.
Una rilettura dei testi evangelici è l’occasione per delle riflessioni che vadano al di là del testo letterario stesso, della “storia del Natale“ raccontata in mille modi, contornata ed arricchita da particolari apocrifi o di tradizionale immaginazione, entrati così in profondità nella memoria collettiva, tanto che a volte viene confuso ‘il rivelato’ con ‘il raccontato’, ‘il testo’ con ‘la leggenda’.
Secondo l’esegesi storico-critica, non si tratta di una cronaca, ma di un racconto midrashico, di una composizione didascalica, dedicata ad ebrei (Mt) e gentili (Lc); viene presentato all’inizio del Vangelo ciò che poi viene rivelato: “Venne ma i suoi non l’accolsero” (Gv 1,11), nacque per morire per la Salvezza del Mondo.
Questi capitoli così brevi, ma intensi, così simili, ma profondamente diversi, andrebbero forse letti in organica continuità temporale, non spezzettati, in un ascolto devozionale di una massa di persone che, credendo di conoscere l’epilogo, ascolta distratta.



Introduzione: la struttura
Il presepio è organizzato in due campi distinti di visuale, che comunque si intersecano: uno nord-sud (verticale) e l’altro est-ovest (orizzontale).
Il primo si ispira totalmente al Vangelo di Matteo, l’apostolo esattore che parla agli ebrei e contorna il suo racconto con numerose illuminanti citazioni e riferimenti veterotestamentari.
Il secondo si completa con specifici riferimenti al Vangelo di Luca, lo storico, discepolo di Paolo, medico, che si rivolge e parla ai gentili, con precisi riferimenti temporali preziosi per la determinazione e datazione degli eventi.
Su entrambi aleggia il testo poetico e, per certi versi ermetico e profetico di Giovanni, l’Apostolo e discepolo prediletto.

Nord/sud
In questo campo viene rappresentato, su quattro piani prospettici diversi, il tradizionale racconto del Natale, la grotta, l’annuncio ai pastori e alle genti, i magi.
Est/ovest
Il piano di lettura è orizzontale, con un parziale secondo piano prospettico, quindi si tratta di scene, dei quadri d’insieme, con Nazaret – l’annunciazione, Betlemme –la venuta,l’Egitto–la fuga/strage, Gerusalemme – la presentazione/circoncisione.

Vi è una discrepanza temporale, libera scelta narrativa, ma in linea con la diversità dei due racconti evangelici.

Le chiavi di lettura
La prima lettura di entrambi i campi è semplice ed immediata, ma segni, simboli e richiami nascosti sono sempre presenti; è un po’ come una parabola, immediatamente comprensibile, ma pregna di significati, o un quadro che può piacere o no, ma per il quale i critici d’arte riempiono pagine di commenti ed interpretazioni.
Ognuno poi, secondo la propria sensibilità, legge e coglie quello che è vicino al personale percorso, tenendo sempre e comunque presente il tema del presepio:
Gesù, luce del Mondo, Salvezza delle Genti.


Piano nord/sud


La Grotta
Viene rappresentata tradizionalmente; nei vangeli non si parla di grotta, i riferimenti sono: entrati (i magi) nella casa (Mt), non c’era posto per loro nell’albergo (caravanserraglio) (Lc); quest’ultima annotazione non va letta come un mero fatto di cronaca, il dettaglio curioso di un evento, ma come il primo segno di opposizione del potere politico-religioso a Gesù, di un popolo sordo, cieco e muto.
Nel primo caso Mt si riferisce al bambino ormai già più grande, uno/due anni, adorato dai magi; quindi è presupponibile che, dopo la prima emergenza (Lc) la famiglia abbia trovato un alloggio decoroso e stabile, nel secondo Lc esclude la possibile accoglienza presso parenti o conoscenti, così come si usava un tempo visti anche i probabili legami familiari che Giuseppe conservava con la sua casa (Mt), quindi si tratta di un ricovero di fortuna e le grotte erano allora usate come stalle, ricovero degli animali, spesso facevano parte integrante dell’abitazione che consisteva in una stanza comune che inglobava la grotta, per la custodia del bestiame e la cura dello stesso. La rappresentazione della grotta è storicamente plausibile e corretta e tra i due racconti evangelici potrebbe non esserci alcuna contraddizione.



La Famiglia
La sacra famiglia composta da Gesù, Maria e Giuseppe è il nucleo e cardine di ogni presepio; presi nel loro insieme o con i due animali, rappresentano la natività, il cuore e la sintesi del racconto del Natale, l’evento misterioso attorno a cui tutto ruota, una parte per il tutto della narrazione.
Sui tre personaggi forse sappiamo tutto, generalmente vengono rappresentati: Gesù nella mangiatoia/greppia, sorridente ed a braccia aperte, segno di amore ed accoglienza, Maria inginocchiata, a mani giunte pregante, o a mani aperte adorante, Giuseppe, un po’ in disparte, quasi in ombra, in piedi con il bastone in mano, a protezione e cura della famiglia.
Nel gruppo scelto per la rappresentazione, la comunicazione si presta ad una ulteriore lettura, quella di una famiglia unita, con un Giuseppe pienamente partecipe; sollevano il bimbo per presentarlo all’adorazione del mondo, una Sacra Famiglia unita nell’amore di Dio di fronte al mistero. Una ostensione eucaristica, che valorizza il ruolo della mangiatoia, non quello di una culla di fortuna, di emergenza, ma quello del luogo del cibo, per il bue e l’asino, per ebrei e gentili: “E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità” (Gv 1,14).
Nel racconto di Luca si legge: “lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia” (Lc 2,7), frase questa che richiama in modo diretto un altro racconto ben più drammatico “Essi presero allora il corpo di Gesù, e lo avvolsero in bende …. e con oli aromatici, com'è usanza seppellire per i Giudei…. dunque deposero Gesù, a motivo della Preparazione dei Giudei, poiché quel sepolcro era vicino” (Gv 19, 40-42).


Il bue e l’asino
Per tradizione il bue e l’asino sono parte integrante ed irrinunciabile della sacra rappresentazione, fin dal presepe francescano..
In nessuno dei racconti evangelici si parla di bue ed asino, neanche nel proto vangelo di Giacomo, in quello armeno, che per altro riportano particolari o riferimenti, ad esempio la fontana della vergine, Gioacchino ed Anna ecc. vi è solo un accenno in altri apocrifi.
Il bue è segno
di sacrificio, pace nel regno messianico (Is. 65,35), di festa (vitello), di abbondanza (Lc 15,23).
L’asino invece nella tradizione ebraica è segno di nobiltà, di cavalcatura regale, l’entrata trionfale di Gesù a Gerusalemme sul dorso di un asino (Lc 19,30) e ancora nella fuga in Egitto, secondo il vangelo armeno dell’infanzia, ma anche di umiltà e servizio.
Nella vita quotidiana l’asino era fonte di ricchezza in quanto animale fondamentale per la vita dei campi e per la pastorizia, come lo è tuttora in certi contesti agro/pastorizi: bestia da soma per attrezzi, vivande, indumenti o cavalcatura, secondo le esigenze, un compagno di viaggio e lavoro indispensabile.
Rientra nella probabilità degli eventi che accompagni Giuseppe e Maria incinta nel loro viaggio verso Gerusalemme (Lc) o verso l’Egitto (Mt).
Questi due animali non sono però citati espressamente, è solo una devota tradizionale rappresentazione? La fedeltà storico/biblica al racconto, al di là di una possibile presenza non citata, si trova nel simbolismo e nella profezia: Gesù, al centro della scena tra il bue e l’asino, viene marcato dall’umiltà del Salvatore (asino) destinato al sacrifico (bue), “Tu starai in mezza ai due animali” (Ab 3,2), inoltre i due animali rappresentano rispettivamente i gentili e gli ebrei, quindi la venuta del bambino tra di essi è segno di salvezza universale.
“Essi sono entrati a far parte dell’evento natalizio attraverso la fede della chiesa nell’unità dell’Antico e del Nuovo Testamento: in (Is 1,3) leggiamo infatti”: Il bue conosce il proprietario e l’asino la greppia del padrone, ma Israele non conosce e il mio popolo non comprende. (J. Ratzinger).


Il pastore
Fuori della grotta ci sono solo due personaggi: un pastore ed un bambino, sia
perché sono simbolici, sia per non disturbare la centralità della scena.
Il pastore volge il suo sguardo verso noi, con atteggiamento di attesa, appoggiato sul suo bastone — il bambino lo ha già adorato; nello sfondo, ci sono altri pastori, questo però è particolare, è il pastore.
La pastorizia si ricollega a tutta la storia e tradizione del popolo ebraico, nomade, errante.
Gesù è il buon pastore, “Il Signore è il mio pastore” (salmo 23 di Davide), il re Davide (antenato Mt 1,5) è il re pastore, unto e consacrato che difende il gregge dall’assalto dei predoni, il bastone (pastorale) serve alla difesa del gregge, il pastore richiama Mosè (Es 13,18), è Maestro tra il suo gregge, ma è anche la figura del suo vicario in terra, quindi quel pastore rappresenta la Chiesa, (Mt 16,17) ed il primato di Pietro; per ben tre volte si svolge questo dialogo: “Simone di Giovanni, mi ami tu più di costoro? - gli rispose - Sì, Signore, tu sai che ti amo - gli disse - pasci i mie agnelli.” (Gv 21, 15 - 17).

Le pecore
 

Da quanto sopra emerge che le pecore siamo noi, i figli di Dio che formiamo la sua Chiesa; l’insieme delle pecore costituisce un gregge, destinato ad un solo unico ovile, di cui Dio stesso ha preannunciato che ne sarebbe stato il pastore (Is 40,11) e le cui pecore segnate, anche se guidare da pastori umani, sono sempre condotte al pascolo e nutrite dallo stesso Xsto, il pastore buono e principe dei pastori, la Chiesa è quindi un ovile la cui porta - unica e necessaria delle pecore - è Xsto (Gv 10-1-11), un ovile in cui vi il posto anche per la pecora (capro) smarrita (Ez 34,16).
La pecora (agnello) simboleggia inoltre Xsto, vittima condotta al Calvario (Is 53, 7) indicato dal Battista come quello che si è caricato i peccati del mondo (Gv 1,9)

Il pastorello
Il pastorello/fanciullo guarda con stupore adorante il bambino nato, guarda con i nostri occhi; rappresenta la speranza, il futuro, la purezza di cuore e la capacità di accogliere il messaggio, la semplicità della fede.
Il Vangelo infatti è riservato ai semplici: “...hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e ai saggi e le hai rivelate ai semplici“ (Mt 11,25), segno di conversione: “In verità vi dico:se non vi convertirete e diventerete come i fanciulli, non entrerete nel Regno dei cieli” (Mt 18,2), sono il simbolo dei destinatari della salvezza: “Lasciate stare, non impedite che i bambini vengano a me; di tali, infatti, è il Regno dei cieli” (Mt 19,14 - Mr 10,13), segno di altruismo, condivisione e servizio, infatti un fanciullo offrì per primo i pani e pesci per il miracolo delle moltiplicazione (Gv 6,9)

L’acqua
Sul fianco della grotta, in posizione leggermente rialzata, quasi a dominare la scena, vi è una fonte, alimentata da acqua che scaturisce dalla roccia e scorre come un fiume. E’ l’acqua mosaica dell’Antica Alleanza “Ecco io starò davanti a te sulla roccia, sull’Oreb; tu batterai sulla roccia: ne uscirà acqua e il popolo berrà” (Es 17,6) è l’acqua che salva dalla sete il popolo ebreo errante (cfr Gv 4,7 ss).
L’acqua alimenta un fonte, un bacino, diventando Giordano, è sacramentale, purificatrice, battesimale (il battesimo di Xsto è comune a tutti i Vangeli); Gesù è sceso nel Giordano, non per essere purificato , ma per dare all’acqua la forza e la virtù di mondare il corpo peccatore, il battesimo è il sacramento di accesso alla vita cristiana, così come il racconto del Natale è accesso prodromico ai Vangeli.
Gesù è venuto per vincere il peccato. La pecorella solitaria vicino al fonte, smarrita, lontana dal gregge e dal pastore, rafforza il simbolo del peccato vinto dalla grazia dell’acqua.

Le piante
Nel primo piano sono distinguibili tre elementi arborei; nella scena principale spicca una palma, segno di vittoria e di trionfo: i rami di palma all’ingresso di Gesù Messia in Gerusalemme (Gv 12,13); i rami di palma agitano in cielo, attorno al trono dell’Agnello, i beati (Ap 7,9). Emblema di martirio ed eternità.
Vicino all’acqua ci sono altre due piante, in contrasto fra loro: da una parte un albero secco, sterile, pur vicino ad una fonte, segno del peccato, dall’altra una pianta verde, rigogliosa, fruttuosa, che attinge dall’acqua l’essenza fondamentale della vita, anche se ancora un virgulto dalle potenzialità inespresse, segno della grazia.

L’angelo


La figura dell’Angelo e degli angeli, guida entrambi i racconti del Natale.
L’angelo Gabriele, il messaggero di Dio, appare a Zaccaria (Lc) annunciandoli la paternità e discendenza, appare a Maria (Lc) con l’annuncio della nascita del bambino, un angelo appare in sogno a Giuseppe (Mt) perché tenga con sé la sua sposa, una schiera di angeli annuncia ai pastori la nascita di Gesù e canta Gloria al Signore (Lc), apparvero in sogno ai Magi (Mt) perché facessero un altro percorso, e ancora è sempre un angelo che spinge Giuseppe e la sua famiglia a sfuggire alla persecuzione di Erode, e ne guida il ritorno dalla terra d’Egitto.
Gli angeli sono dunque il segno tangibile dell’unione tra cielo e terra, Dio e uomo, ritroviamo l’angelo custode nel deserto, confortatore al Getzemani, annunciatore della Resurrezione alle pie donne, stato delle anime dei giusti: “alla risurrezione infatti non si prende né moglie né marito, ma si è come angeli nel cielo” (Mt 22,30) .




I pastori e la gente
“Avvertiti poi in sogno di non tornare da Erode, per un`altra strada fecero ritorno al loro paese” (Mt 2, 12); è singolare questo versetto, i magi non compariranno più nel testo evangelico, perché dirci che fecero un’altra strada?
Dopo l’incontro con il Bambino la loro vita era cambiata nel profondo, non solo rendono omaggio e adorano, ma sono pienamente consapevoli che qualche cosa di grande e di unico è venuto sulla terra, percepiscono un nuovo disegno divino, sono i primi convertiti e discepoli lontani, quindi fanno un’altra strada, intraprendono un diverso percorso, si prefigurano come i primi missionari, inviati in terre lontane, per questo nel presepio rimangono lontani.

Il cielo

"Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama" (Lc 2,14). Il canto della schiera degli angeli irrompe nella veglia dei pastori a guardia delle greggi, sveglia gli addormentati, annuncia alle genti la buona novella, gli invita alla grotta ad adorare il bimbo nato, è il canto lieto e soave dell’infinito amore di Dio per gli uomini.
“Pace sulla terra, questo è lo scopo del Natale … la pace degli uomini discende dalla gloria di Dio. La gloria di Dio non è una faccenda privata, che ognuno può gestire secondo i suoi gusti, bensì una faccenda pubblica. Essa è un bene comune, e dove tra gli uomini non si rende gloria a Dio, lì neppure l’uomo viene a lungo andare onorato “ (J. Ratzinger)
Chi erano i pastori?
Al tempo di Gesù i pastori avevano in gran parte persa quell’aurea di regalità davidica, quella bucolica vita errante, erano considerate persone sporche perché a stretto rapporto con gli animali in condizioni igieniche disagiate, bugiarde e ladre, quindi inserite nell’ultimo posto della scala sociale, viste con sospetto e tenute lontano ( ).
Proprio a questa categoria di persone, gli ultimi, si rivolge l’annuncio dell’angelo: "Non temete, ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore.” (Lc 2, 10) e si capisce allora la loro incertezza, titubanza, quasi un timore; accorrono alla stalla, probabilmente portano i doni frutto del loro lavoro, vedono in un bimbo la fedeltà dell’Alleanza. Dopo l’adorazione, la contemplazione, si fanno messaggeri del lieto annuncio, lo proclamano a tutte le genti, con la grande gioia nel cuore, il senso di liberazione che avvertono (Salmo 96).
L’annuncio non è fatto a ricchi e potenti, mai ai semplici ed umili, che proprio per questo lo accolgono nella sua interezza, ne sono partecipi e testimoni.
Rendere queste tutto questo è un po’ complesso; i pastori e le genti sono disposti su due piani prospettici per aumentare la profondità del campo, per coinvolgere le persone anche le più lontane, in una moltitudine di popolo ed in copiosi armenti.
Nel primo piano prospettico, un percorso tortuoso ed in leggera salita, indica il percorso indecifrabile sulla via della Verità, in riferimento al Salmo 22 di Davide:
Il Signore è il mio pastore:non manco di nulla;su pascoli erbosi mi fa riposare,ad acque tranquille mi conduce.Mi rinfranca, mi guida per il giusto cammino,per amore del suo nome.
Vi è poi la grotta dei pastori, non espressamente citata nei Vangeli, ma la presenza di grotte ed anfratti sul territorio di Betlemme è notevole, quindi è fortemente probabile che in quei luoghi si rifugiassero i pastori; all’interno un incerto fuoco arde nella notte, rischiara le tenebre, diffonde tepore, riscalda i cibi, tiene lontano i predatori, questo in attesa della luce piena.


I Magi

Nella tradizione cristiana si parla di Re Magi, mentre Mt si riferisce semplicemente a dei Magi, degli astrologi, molto probabilmente dei sacerdoti dediti al culto di Zoroastro, che giunsero da Oriente a Gerusalemme, quindi dei persiani/babilonesi, anticamente rappresentati con brache, cappello frigio e mantello.
Furono le prime figure religiose ad adorare il Xsto, il bambino Gesù, il re dei Giudei, portando dei doni simbolici.
La successiva dignità regale loro attribuita serviva forse a rafforzare l’universabilità del mondo che riconosce il Xsto salvatore, o più probabilmente ad un richiamo alle profezie dell’Antico Testamento che riferiscono dell’adorazione del Messia da parte di alcuni re :
Il re di Tarsis e delle isole porteranno offerte,
I re degli Arabi e di Saba offriranno tributi.
A lui tutti i re si protrarranno,
Lo serviranno tutte le nazioni.”
(Salmo 72,10)

La tradizione indica in numero di tre, mentre nel Vangelo si parla di alcuni; questo numero è simbolico, facilmente riconducibili a quello dei doni.
Dalla tradizione armena derivano poi i nomi: Melchiorre il vecchio con l’oro, Gasparre in giovane con l’incenso, Baldassarre il moro con la mirra. Oltre alle tre età, questi personaggi incarnano un concetto ecumenico con le tre razze, bianca, gialla, africana, in coerenza ai discendenti di Noè: Sem, Cam, Jafet (Gn 9,19).
Era uso tra i popoli, e lo è ancora, che il re in visita ad un altro sovrano portasse dei doni, vedi la regina di Saba in visita a Salomone ( 1 Re 10, 2-10) come segno di rispetto, pace e potenza.
Anche i magi portano dei doni che sono simbolici: l’oro, segno della regalità, l’incenso (usato nel tempio) segno del sacerdozio di Gesù, la mirra l’unguento usato nella preparazione delle sepolture, indica l’espiazione del peccato attraverso la morte (Gv 10,39), ma anche l’unzione di Cristo (l’unto).
La presenza dei magi nel presepe è fondamentale all’intera costruzione del racconto, è fortemente catechetica, premessa della salvezza universale. I magi che vengono da lontano rappresentano in qualche modo tutte quelle persone che vengono da lontano, alla ricerca della Verità, dei diversi, dei non appartenenti, persone guardate con sospetto, ma che riconoscono chiaramente la via, mentre chi è vicino, Erode e l’ambiente di Gerusalemme che hanno a disposizione tutte le chiavi di lettura dell’AT e la profezia di Isaia non accolgono il segno del tempo: il Messia re di pace e Salvatore.

Sul fondo del presepio, a conchiuderlo, vi è il cielo, che determina il ritmo dei cambiamenti cromatici che si svolgono nell’arco della giornata, delle fasi di alba, giorno, tramonto e notte.
Nella fase notturna il cielo si riempie di stelle, non casuali o di accompagnamento scenografico, ma stelle e costellazioni reali, con evidenza del piccolo carro che con la stella polare indica in modo univoco il Nord, un punto fisso vero, un asse di lettura, quindi un cielo vero per una scena e storia vera.

La stella


Qualcuno si sarà posta la domanda, ma dove è la stella?
Nel racconto di Matteo la Stella guida i Magi. Quella tradizionale è una cometa, con il corpo principale che indica il punto e lo strascico il percorso; questa rappresentazione classica molto probabilmente ha subito il determinante influsso dell’affresco di Giotto nella Cappella degli Scrovegni, suggestionato forse dalla cometa di Halley che apparve nei cieli nel 1301.
La ricerca di una definizione astronomica della stella è stata a lungo seguita, finora senza fortuna o indicazioni incontrovertibili, in quanto, individuato il corpo celeste, sarebbe possibile definire una data precisa per “l’anno zero”, attualmente datato dagli storici tra il 7 ed il 4 a.C.
Alcuni studiosi hanno ipotizzato che non si trattasse di un singolo corpo celeste, ma di una congiunzione astrale di pianeti: Keplerò segnalò che nel 7 a.C. ci fù una triple congiunzione di Giove con Saturno - maggio, settembre, dicembre -, evento estremamente raro, poi nel febbraio del 6 a.C. vi furono in simultanea le congiunzioni di Giove con la Luna e di Marte con Saturno, entrambe nella stessa costellazione dei Pesci.
Vi è infine da segnalare che secondo gli annali astronomici cinesi, nel periodo del febbraio/marzo del 5 a.C. si verificò nei cieli l’apparizione di un oggetto brillante, probabilmente una super nova, che rimase visibile nei cieli per circa settanta giorni, periodo questo che avrebbe consentito ai Magi di giungere dalla Mesopotamia fino a Gerusalemme, mentre è da escludersi, per motivi temporali, l’apparizione della cometa di Halley, che fu visibile solo nel 12 d.C.
Corpo celeste o congiunzione di pianeti ? Nel primo caso la stella dovrebbe essere stata visibile da tutti e non sconosciuta (Mt 2, 2-7), nel secondo caso invece solo dei saggi, degli studiosi, i Magi appunto secondo la tradizione erano sacerdoti astrologi, avrebbero colto nel posizionamento dei pianeti il segno di un evento particolare nella storia. Questa ipotesi, storicamente maggiormente plausibile, sarebbe comunque in una qualche contraddizione con un Salvatore venuto a parlare ai semplici (Mt 11,25), quale può essere il senso di una manifestazione riconducibile solo ad un esiguo gruppo di persone anche se sagge e devote? Perché i pastori, gli ultimi, i semplici, non partecipano alla visione della stella? Perché Erode non vede la stella?
Il sorgere della stella era atteso dagli ebrei e profetizzato da Balaam ed Isaia:
Io lo vedo, ma non ora,io lo contemplo, ma non da vicino:Una stella spunta da Giacobbee uno scettro sorge da Israele,spezza le tempie di Moabe il cranio dei figli di Set, (Nm 24,17)
Per amore di Sion non tacerò,per amore di Gerusalemme non mi darò pace,finché non sorga come stella la sua giustiziae la sua salvezza non risplenda come lampada (Is 62,1)
Tutte queste domande ed ipotesi potrebbero avere un’unica spiegazione: La stella ha volti diversi e solo quelli che la cercano o hanno il cuore aperto possono vederla o incontrarla.
Naturalmente la stella è presente nel presepio, anche se in forma simbolica, questa stella così personale e di aspetto vario.
Io sono la radice della stirpe di Davide, la stella radiosa del mattino (Ap 22,16), la stella è sotto i nostri occhi, è il bambino Gesù, che nella mangiatoia, con la sua luce radiosa ha squarciato le tenebre della notte, del peccato.

La luce
Nel presepio le diverse luci, anche cromaticamente diversificate, l’alternanza delle fasi della giornata, la specifica illuminazione delle sue parti, non sono solo congrue alla rappresentazione del racconto, ma stimolano la percezione del percorso, guidano alla scoperta delle varie scene.
“In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre” (Gv 1,4), Gesù nasce di notte, mentre i pastori vegliano sul gregge (Lc 2,8) e porta la luce al mondo, non quella tremolante di un fuoco, di una candela, ma viene a trasformare una luce incerta, dubbiosa, in una luce forte e perenne, ad alimentare le lucerne delle vergini (Mt 25,1-13), quindi è Stella, riferimento, meta da raggiungere, ma anche percorso, redenzione pasquale, segno del Cristo risorto, luce vera del modo che illumina ogni uomo; è la luce della vita che impedisce di camminare nella notte; è il segno della vita nuova in Cristo che, strappa dalle tenebre, e trasferisce i credenti nel regno della luce battesimale che libera l’uomo dal

peccato ed alimenta la fede.
Durante il rito del fuoco della veglia pasquale il celebrante dice:«La luce del Cristo che risorge glorioso disperda le tenebre del cuore e dello spirito» , proclamando poi solennemente per tre volte :” Lumen Christi”.


Piano est/ovest




I quattro quadri che caratterizzano questo piano, sono concatenati fra loro, come segno di continuità spazio/temporale, dall’alternanza delle fasi della giornata, che guidano il percorso e da un sistema di porte e portoni, di successivi passaggi da superare.


Nazaret - l’Annunciazione

La prima scena presenta Nazaret, quasi uno scorcio del villaggio, con l’annunciazione a Maria. L’evento è ambientato in una camera “Entrando da lei…“ (Lc 1,28), situata al primo piano, quasi a dominare l’intero panorama, una stanza assolutamente spoglia ed anonima, dove tutta l’attenzione si incentra sui due protagonisti: l’angelo Gabriele, il messaggero di Dio e Maria; fra di loro, unico altro elemento presente, una pelle di agnello, segno del sacrificio di Xsto.
Non si sono porte o scuri alle finestre, ciò che avviene è sotto gli occhi di tutti, la scena si illumina nella fase dell’alba, è il principio del racconto, con luce forte e piena, in un contesto esterno di vago sapore rinascimentale.
Al piano inferiore troviamo Giuseppe nella sua bottega da falegname, intento al suo lavoro.
Che fosse un falegname, carpentiere, muratore o manovale, il termine usato nel vangelo è piuttosto generico, è confermato da un passo di Marco: “Non è egli forse il figlio del carpentiere? Sua madre non si chiama Maria e i suoi fratelli Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda?” (Mt 13,55), inoltre insegnò, come era ed è consuetudine, la professione al figlio:“Non è costui il carpentiere, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle non stanno qui da noi?. E si scandalizzavano di lui.” (Mc 6,3).
Giuseppe era quindi un artigiano, lavoratore in proprio o dipendente, non legato alla terra come un contadino o pastore, quindi in grado di provvedere alla famiglia con il suo lavoro anche in contesti diversi, Betlemme, Egitto o Nazaret, visto che la lontananza dal luogo d’origine durò vari anni, ma soprattutto era “un uomo giusto” (Mt 1,18) timorato di Dio, umile servitore, che vive nel silenzio e nella modestia il grande segno ricevuto, svolgendo fino in fondo il sua compito di padre putativo, forse non capendo, ma certamente credendo.

Giuseppe resta in ombra, per questo la sua tradizionale bottega, è illuminata con una luce fioca, nel ciclo della notte, quando in sogno gli apparse l’angelo che gli svelò il grande progetto di Dio. (Mt 1,20)
Fuori della casa, in una specie di piazzetta, troviamo una fontana, non quella degli apocrifi, detta della Madonna, presso la quale secondo quei testi ci fu l’annunciazione, ma una fonte di acqua diversa, quella del pozzo di Giacobbe: “Chiunque beve di quest'acqua avrà di nuovo sete; ma chi beve dell'acqua che io gli darò, non avrà mai più sete, anzi, l'acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna”. (Gv 4,13-14)
Accostata alla fontana troviamo un’anfora che ci riporta al primo miracolo eucaristico: la trasformazione dell’acqua in vino “Così Gesù diede inizio ai suoi miracoli in Cana di Galilea, manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.” (Gv ,11), Maria diventa il simbolo dell' Israele fedele, che aspetta da Gesù il dono del vino della nuova alleanza; inoltre, essa è colei che ha fatto compiere al Figlio il primo miracolo della sua vita pubblica, ed è perciò presentata come la mediatrice di tutte le grazie presso Gesù Cristo.
Nella triplice manifestazione del Signore che si rivela alle genti, ai Magi, i gentili, a Cana e nelle acque del Giordano, con il battesimo ad opera del Battista, questi tre miracoli esprimono il significato dell’epifania, la manifestazione del Signore (I Tm 6,14; Tt 2,13).


Betlemme - la venuta
Attraverso la porta si entra nella cittadella di Betlemme.
Viene rappresentata fortificata, cioè chiusa verso l’esterno, in posizione difensiva, staccata dal suo contesto e da ciò che la circonda e accade sul territorio, arroccata nella sua posizione, solo le porte della mura, consentono comunque il transito.

La vita stessa della città, pur nella quotidiana attività agricolo/pastorale, è conseguentemente diffidente verso l’esterno, poco accogliente (Lc 2,7); infatti tutte le porte e le finestre delle case che si affacciano sulla piazzetta interna sono chiuse, le persone sono statiche, sembrano avulse dal contesto, solo l’asinello (i gentili) che esce dalla sua stalla è in una qualche posizione dinamica, quasi di attesa.
Nei pressi della torre di guardia, troviamo un soldato romano con in mano l’editto del censimento ordinato da Cesare Augusto (Lc 2,1ss) a ricordo che la Palestina, pur essendo un “Regno amico ed alleato” era comunque sotto lo stretto controllo dell’impero romano ed assoggettata alle sue leggi, pur nel rispetto di quelle religiose. Del censimento citato da Luca, non vi è un definito riferimento storico nei testi romani, solo quello successivo di circa quattordici anni viene direttamente menzionato, ma vi è una forte possibilità storico/giuridica che avvenne realmente e con le modalità menzionate da Luca stesso.
Il censimento citato non va letto solo come un fatto giuridico/esattoriale, serviva soprattutto per l’imposizione e riscossione delle imposte, ma anche come una forma di gestione del potere, di contare i propri sudditi, come una personale proprietà e rendita, per usufruire del lavoro e dei beni altrui per mantenere ed esercitare il controllo del popolo, quindi tassazione non per una forma di condivisione dei beni, ma come tributo al potere stesso, un regno dell’uomo, leggi tributo a Cesare (Mt 22,17; Mc 12,14; Lc 20,22) a confronto con quello di Dio (Mt 6,33).
Questa interpretazione etica del censimento si collega direttamente al peccato originale la cui radice era il non fidarsi dell’Altro, di prendere per mangiare, possedere, di voler “sapere” l’altro (Gen 2-3). Così come è stato il peccato del censimento con il quale Davide volle “sapere” (2 Sam 24,22) il numero del popolo per sfruttarlo meglio, degli uomini atti a combattere per nuove conquiste, per “mangiare” la carne delle sue pecore, delle quali era pastore e custode per mandato del Signore.

Il peccato d’origine non poteva dunque essere redento se non con il suo opposto, da colui che darà il suo corpo per mangiare, affidando la sua parola agli uomini perché se ne nutrano.
A dominare la scena, dall’alto ed in lontananza, che si illumina nella fase del tramonto, la grotta con la natività e l’angelo del Gloria, così lontana, ma anche vicina ed immanente; nella notte sopra la grotta di intravedono le stelle; le più luminose formano un triangolo, segno di Dio, della trinità, ma anche della stella, la metà di quella a sei punte di Davide.


L’Egitto - la strage e fuga
Uscendo da Betlemme, passando attraverso la torre di guardia, incomincia il viaggio di esilio verso l’Egitto.
La fuga in Egitto è un episodio trattato solo nel Vangelo di Matteo. A tutti è noto che l’angelo apparso in sogno a Giuseppe, lo esorta a fuggire, per evitare la rappresaglia di Erode, poi dopo la morte del re ritornano e viene scelta Nazaret come nuova residenza, per avverare la profezia: sarà chiamato il Nazzareno (Amos 2, 10-12 Mt 2,23).


L’episodio in sé potrebbe sembrare banale, privo di reale pregnanza, ma all’origine della fuga vi è l’elemento chiave, la strage degli innocenti.
Era abbastanza comune a quei tempi, lo sarà ancora nei secoli successivi fino ai nostri giorni, magari in forme diverse e meno cruente, eliminare i potenziali nemici, quelle persone che in qualche modo potrebbero fare ombra, minare la credibilità e l’autorità del potente.
Erode, dopo la visita dei Magi ed il loro non ritorno, si pone un problema di ragion di stato: un potenziale antagonista al suo regno; ordinare la strage dei bambini di età inferiore ai due anni in Betlemme, è un atto che potrebbe essere considerato “normale” tanto da non essere storicamente registrato.
L’uccisione di una dozzina di bambini non doveva essere un grosso problema morale, magari non lo è neanche ai nostri giorni; questo fatto irrompe nel racconto del Natale, fatto di angeli, pastori, canti, doni, buone intenzioni, ponendo elementi di drammaticità inaspettata, si passa dalla colpevole indifferenza alla inaudita violenza nei confronti di bambini innocenti che possono essere considerati i primi martiri inconsapevoli.
Vi è una forte assonanza fra una strage di innocenti e la morte dell’innocente, introduce alla per noi misteriosa storia della vita che incrociamo ogni giorno, che colpa avevano quei bimbi, perché loro ? Un’eterna domanda che solo nella fede trova una risposta: è dal sangue dell’innocente che deriva la nostra salvezza, dall’agnello immolato per la redenzione del mondo.
Gesù bambino, con i genitori, inconsapevolmente prende la strada dell’Egitto, dell’esilio forzato , così come altri ebrei che per sfuggire alle persecuzioni si recarono in quella terra; è il primo ed unico “viaggio all’estero” di Gesù, ma non è un viaggio casuale o privo di significato
Ci riporta alle Genesi e all’Esodo, a Giuseppe e Giacobbe, infine a Mosè, alla strage dei primogeniti d’Egitto, preludio dell’esodo, al lungo peregrinare verso la terra promessa, fino al Sinai ed alla Antica Alleanza.
Gesù ritorna dall’Egitto (Mt 2,15), preceduto dalla profezia di Osea: “Quando Israele era giovinetto, io l'ho amato e dall'Egitto ho chiamato mio figlio” (Os 1,11), per stabilire la Nuova Alleanza, superando quella suggellata con le tavole del Decalogo con un nuovo comandamento: “Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi” (Gv 13,34), una alleanza non più incisa nella pietra, ma nei cuori, che passa attraverso l’estremo sacrificio.
Così come gli israeliti, sfiduciati, con Aronne, fondono un vitello d’oro rompendo di fatto l’alleanza prima ancora che sia compiuta (Es 32 ss), anche Pietro per tre volte rinnega Xsto (Mc 14,72), ma la grazia gli offre il perdono.


Gerusalemme - la presentazione al Tempio


Questo è il quadro finale dell’asse orizzontale.; è una duplice forzatura: temporale, in quanto la presentazione al Tempio, avvenne quaranta giorni dopo la nascita, quindi prima della fuga in Egitto, spaziale perché dal Tempio si vede il Tempio. Tutto questo ha comunque un suo significato.
L’apertura che separa la fuga con il tempio è, a differenza delle altre analoghe, chiusa da una porta; è la porta che separa la Vecchia dalla Nuova Alleanza, è la porta delle fede, che può essere aperta o lasciata chiusa.
La scena si apre nel tempio, con Maria e Gesù, Giuseppe non viene rappresentato perché il suo ruolo ora è marginale, che si sono recati per il rito della purificazione secondo la legge mosaica (Lv 12, 1-4) quaranta giorni dopo la nascita, trentatre giorni dopo la circoncisione (Ge 17,10-14), portando una coppia di tortore o colombi, (Lc 2,24) secondo quanto previsto, in alternativa all’agnello di un anno prescritto, questo ha due possibili interpretazioni: la modesta disponibilità di mezzi della famiglia (Lv 12,8), la presenza reale dell’agnello in Xsto.
Qui si svolge l’incontro con Simeone, uomo giusto e timorato di Dio (Lc 2,25), non un sacerdote, ma un frequentatore del Tempio. Si conclude così l’insieme dei riconoscimenti del bambino: Maria all’annunciazione, Giuseppe nel matrimonio, Elisabetta salutando Maria, il Battista scalciando, i pastori al gloria, i Magi seguendo la stella, Simeone benedicendo Dio, la profetessa Anna lodandolo. Non lo riconosce Erode, che anzi ordina di ucciderlo, non lo riconoscono i dottori del Tempio, che vedono in lui un ragazzo prodigio, non il Messia (Lc 2,47).


Il vecchio Simeone sembra mostrare al bambino i due regni: quello dell’uomo, la Gerusalemme terrena e quello di Dio rappresentato dal Tempio, ora privo dell’Arca dell’Alleanza. Tra i due, nel mezzo, troviamo, quale sintesi, un colle brullo, senza costruzioni, è la collina del Calvario.
La presenza del bambino nel Tempio è assolutamente singolare: la presumibile data di nascita, 25 dicembre, coincide con la festa ebraica delle luci, che ricoda come in questo giorno nel 165 a. C. Giuda Maccabeo rimosse dal tempio di Gerusalemme l’altare di Zeus posto dal re siriano Antioco e che aveva fatto di quel giorno la sua festa (2 Mac 10,5 ss). Quel giorno era diventato quello della purificazione, giorno in cui erarstato ristabilito l’onore di Dio. Per Israele quella data aveva assunto il significato della sua rinascita, la rappresentazione del nuovo inizio della creazione, di un nuovo tempo di libertà.
Già un secolo prima della nascita del bambino, la venuta del Messia era attesa per quello specifico giorno, perché egli avrebbe insegnato agli uomini ad onorare nel modo giusto Dio, dando avvio ad un nuovo corso. La festa delle luci veniva celebrata secondo la parola del profeta: “Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce” (Is 9,1).
Luca, nella sua cronologia, ha fatto coincidere la nascita di Gesù con la festa ebraica delle luci, che divenne in questo modo la festa cristiana del Natale. Giuda Maccabeo ha purificato l’edificio del tempio, il canto degli angeli preannuncia che Xsto ha tolto dal mondo le immagini degli idoli, ha costruito il tempio del suo corpo e ristabilito l’Alleanza con Dio: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere» (Gv 2,19 - 22).

Bibliografia




La Bibbia di Gerusalemme (CEI)
C.E. Dehoniano, Bologna 1974


Lessico di iconografia cristiana
Gerd Heinz Mohr I.P.L., Milano 1984

La Chiave
Luciano Bartoli - Lint, Trieste 1998

La Benedizione del Natale
Joseph Ratzinger - Queriniana, Brescia 2005


Siti multimediali


www.shalom
http://www.la/ Bibbia on line
www.it.wikipedia.org
http://www.rassegnastamoa.totustuus.it/
http://www.qumram.it/

Testi di: Vittorio Messori, Antonio Socci, David Donnini, Roland Meynet, Gianfranco Ravasi



Dati tecnici


Dimensioni: superficie mq. 1,21 (140 cm x 87 cm) h 50 cm



Materiali di costruzione


Pannelli faesite: 2,60 mq.
Pannelli polistirolo: 5,60 mq.
Pannelli compensato : 1,20 mq
Pannelli plexiglas: 0,90 mq
Listelli in legno: 12,5 ml
Tela : 1,50 mq.
Gesso a scaiola: 3 Kg
Colla vinilica: 2,5 Kg
Stucco: 1 Kg
Colori in polvere: 0,5 Kg
Colori spray: 0,5 Kg
Viti: n. 212
Chiodini: 110

Materiali vari e di consumo:
alluminio, filo di ferro, spago, sabbia, segatura, licheni, muschio, rosmarino, rametti, legno di balsa listelli e fogli, paglia, stoppie, sassi, silicone, plastica, rame, staffe metalliche ecc.

Materiale elettrico


Centralina: n. 1
Cavi elettrici: 35 ml
Fibre ottiche: 30 ml
Punti luci: n 18
Pompe elettriche: n. 2
Potenza totale in 4 fasi 395 w
Fasi fisse: n. 3 x 88 w + 2 pompe
Fase giorno: 105 w
Fase tramonto: 61 w
Fase notte: 61 w
Fase alba: 80 w

Personaggi


Statuine da 12 cm: n. 5
Statuine da 11 cm: n. 9
Statuine da 8 cm: n. 6
Statuine da 6 cm: n. 14
Statuine da 3 cm: n. 9
Pecore varie dimensioni: n. 30
Altri animali: n. 9
Totale statuine. n. 72

REALIZZAZIONE: Marco SORANZO






















lunedì 2 novembre 2009

2. 2008 - Il Natale di Cromazio


IL NATALE DI CROMAZIO


CROMAZIO VESCOVO E CREDENTE
CROMAZIO ED IL SUO TEMPO
CROMAZIO ED IL NATALE
IL NATALE DI CROMAZIO
GENEALOGIA DI CRISTO ED ANNUNCIAZIONE
LE PREFIGURAZIONI DI CRISTO
CROMAZIO IL PASTORE
I MAGI E LA SINAGOGA
SCHEDA TECNICA




CROMAZIO VESCOVO E CREDENTE

Cromazio, Vescovo Santo di Aquileia dal 388 a 408 dc, è un Padre della Fede e della Chiesa, inserito a tutti gli effetti in quel contesto travagliato che nel IV° secolo determinerà la storia della Chiesa Cattolica, Apostolica e Romana fino ai nostri giorni, compiendo quelle scelte anche coraggiose che oggi vengono forse date per scontate, ma che in quei anni bui e fecondi sono state frutto di lacerazione e lotte cruente, ma supportate da una fede magari semplice, ma estremamente determinata.
Cromazio va quindi letto nel suo contesto storico politico che lo vede più volte al centro della scena; è contemporaneo di Ambrogio da Milano, che lo ordinerà vescovo nel 388 nella basilica di Aquileia, di Crisostomo di Costantinopoli, per il quale intercederà senza successo presso l’Imperatore d’Oriente Arcadio, di Girolamo di Stridone e Rufino di Concordia che tenterà di far riconciliare; con queste persone tiene un fitto rapporto epistolare dal quale si deduce la grande stima di cui era oggetto, il riconoscimento tributato ad un vero maestro, Vescovo della terza città dell’impero, su un territorio estremamente ampio. L’autorevolezza che emanava non proveniva dal prestigio della cattedra episcopale, ma dalla sua persona, dall’attività catechetica che è un cardine del suo episcopato, dal coraggio delle sue scelte a volte difficili ed in contrasto con il potere, da una incessante attività pastorale caritativa che supera le mura di Aquileia “E’ giunta fino a noi la fama della tua calda e sincera carità, Cromazio, come squilli di tromba; è echeggiata chiara e prolungata a tanta distanza, si è diffusa fino all’estremità della terra” (Giovanni Crisostomo, Lettera a Cromazio).
Si è distinto per il suo mecenatismo a favore della traduzione di vari libri dell’Antico Testamento, ma soprattutto nell’opera incessante contro l’eresia di Ario, che lo vede protagonista in prima persona durante il Concilio di Aquileia, 381, quando ancora presbitero prende, per delega del Vescovo titolare Valeriano, due volte la parola per confermare la fede di Nicea (325) e di Costantinopoli (381) contro l’arianesimo ed i vescovi aderenti; Fotino, ma soprattutto Ario secondo il quale il figlio di Dio sarebbe una “creatura” del Padre e quindi avrebbe avuto una natura diversa, sono sempre all’attenzione di Cromazio che non perde occasione per confermare la vera fede nei trattati e nei sermoni.
La purezza autentica della fede sono i pilastri del suo apostolato.
Per definire il suo tempo, possiamo dire che Cromazio vive nel periodo della primavera della Chiesa, appena uscita dalla clandestinità e dalle persecuzioni: trent’anni prima della sua nascita, terminava l’ultima persecuzione di Diocleziano che colpì in modo estremamente duro e sanguinoso la comunità aquileiese, quindi quando Cromazio parla di martiri e martirio non lo fa in modo astratto o di maniera, ma per l’esperienza diretta vissuta e tramandata dei suoi contemporanei, è il vivo ricordo alla radice della fede dei genitori o meglio della madre vedova che conduce una vita santa insieme alle sorelle vergini consacrate ed al fratello Giovino che Cromazio stesso ordinerà Vescovo insieme al quale ha vissuto una intensa esperienza monastica in Aquileia con Rufino, Girolamo ed il diacono, poi Vescovo, Eusebio, che nelle loro lettere ricordano con una certa nostalgia quella intensa esperienza vita comunitaria e monastica.


CROMAZIO ED IL SUO TEMPO

In pochi anni il cristianesimo è passato dalla clandestinità persecutoria al ruolo di religione di stato (380 Editto di Tessalonica dell’Imperatore Teodosio), con tutte le conseguenze del caso, legandosi da una parte al potere costituito dell’Impero romano da poco diviso tra Oriente e Occidente, con una serie di lotte intestine, usurpatori, scontro tra poteri, frizioni ed ingerenze che coinvolgono il principio della fede stessa, e dall’altra guardando verso una crescente massa di persone che si rivolgevano al cristianesimo per la conversione che come atto culminante e decisivo, come vero segno del passaggio incrocia il sacramento del battesimo che per i pagani convertiti è il vero accesso alla vita cristiana.


Mentre Cromazio tiene i suoi sermoni nella basilica di Aquileia, svolge le sue catechesi a catechumeni e competentes o impartisce il sacramento battesimale nel fonte esagonale del battistero, i pagani frequentato ancora i templi di Giove o Marte, sacrificano animali per gli auspici, i giudei leggono i rotoli dell’Antico Testamento nelle sinagoghe della città.
Fuori dalle mura della città cominciano le prime scorrerie di barbari, nel 401 i Goti di Alarico assediano per la prima volta Aquileia, poi ancora nel 408, anno in cui Cromazio muore mentre mette in salvo la popolazione nella laguna di Grado. I barbari metteranno a sacco Roma due anni più tardi, per giungere infine alla distruzione di Aquileia nel 452 per mano di Attila ed i suoi Unni, anno che segna il definitivo declino commerciale, politico e religioso della città.
In questo contesto opera Cromazio, in tempi difficili, ma eroici dove solo una fede adamantina può trovare quella serenità e sicurezza che di cui sono permeati i suoi scritti, le sue catechesi ed omelie., dove non traspare paura o incertezza per il futuro, ma solo una fede incrollabile, forse un po’ ingenua alla luce della critica storica, con qualche forzatura interpretativa, perché tutto doveva tornare, per ogni cosa c’era una perfetta spiegazione nella Bibbia, anche le naturali contraddizioni o versioni avevano il loro univoco punto di coincidenza.
Tutto questo nulla toglie a Cromazio, uomo e vescovo del suo tempo, ma contemporaneo ed originale precursore nei giorni nostri, uomo dotato di ampia cultura e conoscenza biblica, che usa anche citazioni abbastanza inusuali, collegamenti e prefigurazioni che a volte possono sembrare un po’ forzate, ma sicuramente frutto di una grande fede.
La sintesi della sua pastorale, della sua predicazione, della sua stessa vita presbiteriale potrebbe essere sintetizzata in questa frase: “Cristo, vero Uomo, vero Dio”.

CROMAZIO ED IL NATALE

La celebrazione del Natale, come festa liturgica propria della nascita del Salvatore, ai tempi di Cromazio era una festività relativamente recente, infatti solo nel 336 si trova nel calendario liturgico il 25 dicembre come data dedicata, prima il Natale veniva celebrato il 6 gennaio, come fanno ancora gli ortodossi, unitamente all’Epifania, Manifestazione del Signore e alle Nozze di Cana (Gv 2, 1), primo miracolo di Gesù e di orientamento eucaristico.
Cromazio commenta al Sermone 32 il Vangelo di Luca e nei Trattati quello di Matteo, offrendo di fatto un ampio commento ai due testi evangelici che parlano in modo specifico della nascita del Salvatore. La parola Salvatore non è usato come sinonimo, ma va vista proprio alla luce della visione e lettura pasquale che Cromazio fa della nascita di Cristo, il Natale annuncia la Pasqua, nella drammaticità e speranza dell’evento; è una lettura estremamente moderna dei passi evangelici quella che Cromazio ci lascia, che conduce al sacramentum, al mysterium fidei, alla grande veglia che preannuncia la Resurrezione.
I testi sono ricchi di spunti, ma per rappresentare la visione del Natale di Cromazio non ci si può limitare a queste riflessioni specifiche, ma è necessario comprendere al meglio il suo pensiero teologico, la coerenza della sua pastorale, il suo essere pastore; quindi il natale va inserito in un contesto più complesso che ci rappresenta un Cromazio a tutto tondo, ma nel contempo nelle poche righe scritte sul Natale c’è tutto Cromazio.

IL NATALE DI CROMAZIO

La rappresentazione plastica di quanto sopra esposto e dei testi di riferimento, ha posto non poche problemi per una realizzazione che fosse fedele al testo e nello spirito dell’autore e nel contempo di guidata lettura storico-teologica-catechetica per noi, consentendo anche in una certa maniera una rilettura dell’opera nel nostro contesto attuale.
Da queste premesse, dalla lettura dei Sermoni liturgici e del Tractatus, di una serie di libri e pubblicazioni su Cromazio, si è sviluppata l’idea del progetto, o meglio prima quelli che potevano essere i paletti:
- il contesto storico ambientale;
- il rapporto antico e nuovo testamento; (1)
- le prefigurazioni che annunciano la nascita del Salvatore;
- l’annuncio del Credo dei Concilii di Nicea e Costantinopoli;
- la lotta alle eresie;
- il rapporto con il mondo giudaico e pagano;
- la centralità del sacramento battesimale;
- l’assoluta coerenza e continuità biblica …gli evangelisti non scrivono a caso; Da queste premesse la scelta dell’ambientazione è obbligata: Aquileia ed il suo complesso basilicale, inseriti in un contesto più ampio che racchiude la storia del Natale commentata da Cromazio.
La rappresentazione è pertanto organizzata in due campi: il primo vede la genealogia di Cristo e l’Annunciazione, in un contesto territoriale palestinese, il secondo, a sua volta diviso in tre ulteriori scene, gli eventi connessi alla natività, incastonati nell’Aquileia di Cromazio, l’esterno della basilica con il portico, la cappella dei pagani ed il monumentale battistero, sotto la facciata della basilica stessa; un secondo e terzo piano di ispirazione palestinese.
Abbiamo quindi l’attesa, l’annuncio e prefigurazione della nascita di Gesù, l’evento storico che ha dato una nuova dimensione a tutti gli uomini ed al mondo ed infine la Chiesa universale nella sua missione redentrice e pasquale.
Fatti, personaggi, avvenimenti, profezie dell’AT si pongono in ragione di connessione con fatti, personaggi, avvenimenti, profezie del NT. E’ un rapporto che Cromazio chiama di figura (tipo,immagine, ombra) rispetto alla verità, alla realtà totale che è il Cristo. In altre parole con una immagine visiva, si potrebbe asserire che l’AT è come una grande fotografia del NT, che ne è la realtà (di persona, cosa, ecc.). Il NT è già presente entro le linee dell’AT, pur non completo e non completamente intelligibile…Con ciò, per effetto della relazione necessitante, non si deve pensare che l’AT perda la sua consistenza di fatto, di avvenimento, o che i personaggi dell’Antica Alleanza divengano evanescenti. Essi conservano tutto il loro spessore di fatti, di accadimenti, di personaggi che hanno operato nel passato. Solo che sono tutte realtà assunte a significarne una più grande e più eccellente (introduzione al Trattato a cura di Giulio Trettel, paragrafo 5, Città Nuova Editrice 1984)
(2) Tratt. 1 paragrafo 1 pag 57 op. cit)

GENEALOGIA DI CRISTO ED ANNUNCIAZIONE


Nel Tractatus il vescovo aquileiese dedica ampio spazio al commento di Matteo relativo alla genealogia di Cristo, che introduce non solo la storicità della nascita del Salvatore, ma anche la sua natura umana, l’attesa di tutto il popolo d’Israele, rende evidente che il tempo era giunto, che l’annuncio dei profeti trovava compimento, che i segni diventavano significato sotto gli occhi di tutti.

Cromazio si sofferma sul fatto che L’evangelista enumera ordinatamente tutte le generazioni, che distribuisce a gruppi di tre, a far principio di Abramo, capostipite della discendenza per quattordici generazioni ciascuno, da Abramo a David, da David all’esilio babilonese, da Babilonia a Giuseppe, padre legale di Gesù.
Partiamo quindi dalla rappresentazione dell’offerta pia dell’unico e diletto figlio Isacco (Isacco è figura di Cristo), che ha meritato di prefigurare il mistero della passione del Signore in pro del genere umano; la scena è quella classica, con Abramo che guarda preoccupato il giovane figlio Isacco,la sua discendenza, che conduce l’asino con la legna per l’olocausto, il capro, impigliato in un roveto, che viene immolato per l’alleanza.
Le quattordici pecore in cammino verso David rappresentano le generazioni ed il popolo di Israele, anche David venne assunto a preannunciare, con l’esempio della sua persona, nella figura del suo regno e del suo essere profeta, il re eterno ed il vero profeta che è Cristo. David e rappresentato dal pastorello che guarda verso il Signore, ai suoi piedi una radice Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse, un virgulto germoglierà dalla sua radice. Con virgulto della radice di Iesse indicava la vergine Maria, che trae origine dalla discendenza di Iesse, attraverso David. Infatti s'è visto sopra che la vergine Maria discende dalla stirpe di David: stanno ad attestarlo sia l'evangelista che l'Apostolo. In Cristo da Maria è spuntato il fiore dell'umana carne. Alle spalle di David il suo simbolo, la stella ed il Tempio che il figlio Salomone costruirà. Da David fino alla deportazione in Babilonia si numerano quattordici generazioni. In realtà, secondo il Libro dei Re, sono diciassette, che diventano quattordici scartando quei re infedeli generati dalla dinastia di Acab e Gezabele che si scontreranno con il profeta Elia.

Le quattordici generazioni vengono rappresentate da una scalinata, secondo quanto scritto Da Neemia: Alla porta della Sorgente, di fronte a loro, salirono per la scalinata della città di Davide, per la salita delle mura, al di sopra della casa di Davide, e giunsero alla porta delle Acque, a oriente. (Ne 12,37)
Babilonia viene rappresentata dalle catene infisse sulla parete e da una donna dalle vesti scarlatte, secondo la visione dell’ Apocalisse (Ap 17, 1-6)*
Da Babilonia a Cristo sono tredici le generazioni, che per Cromazio diventano quattordici per tale ragione che l'evangelista ha strettamente congiunto in unità la nascita del Verbo eterno e la nascita secondo la carne, cioè quella da Dio e quella dall'uomo; e lo fa raccogliendole sotto due generazioni unite insieme.
Ci si potrebbe però chiedere perché Matteo abbia voluto dividere le quarantadue generazioni in tre gruppi da quattordici l’uno.
Difatti il numero di quattordici esprime meravigliosamente la somma dei dieci comandamenti della Legge e dei quattro Vangeli. Il numero esprime alla perfezione la concordanza e l'unità della Legge con il Vangelo.
Le quattordici generazioni vengono pertanto rappresentate dalle dieci tavole della Legge e dalle immagini dei quattro evangelisti (tratte dal pulpito della Basilica di Grado), secondo la visione di Ezechiele, ripresa da Cromazio nel Prologo ai trattati.
I tre cicli di quattordici sono dovuti alla perfezione della Santa Trinità, indicati nello schema a triangolo equilatero che ne è una rappresentazione classica.Al centro del triangolo la figura di Aronne, nella veste sacerdotale con in mano una verga in cui si deve vedere preannunciata Maria, la quale senza umore della terra, cioè senza seme di uomo, potè germinare… il vero frutto maturo della salvezza umana. Maria quindi ha una discendenza regale attraverso David e sacerdotale da Aronne, confermata dalla parentela con Elisabetta.
La genealogia di Cristo è l’anello di congiunzione tra L’antico ed il Nuovo Testamento, questo passaggio viene indicato da un grande arco, una porta aperta.

L’Annunciazione avviene all’interno di una tipica casa palestinese organizzata su più stanze che si affacciano su un cortile: in una troviamo Giuseppe nella sua bottega, illuminato da una luce fioca, intento al suo lavoro di falegname, carpentiere, on la montagna che sovrasta la bottega, segno del peso e della responsabilità dell’annuncio dell’Angelo, nella corte l’Angelo stesso che appare a Maria annunciandole la discesa dello Spirito Santo.
Maria è all’interno della sua stanza, senza arredi per incentrare l’attenzione sulla sua figura, con un’anfora in richiamo alla Nozze di Cana ed al suo ruolo di intercessione. Il pavimento in terra, con il tipico rialzo di pietra, mentre le pareti sono di bianco candito, segno della Luce, terra e cielo, carne e spirito dimorano in Maria. Sullo sfondo l’immagine di Eva: all'inizio dei tempi il diavolo rivolse la parola prima ad Eva, poi all'uomo, così da iniettare in loro il seme di morte.

Qui, invece, il santo angelo prima rivolge la parola a Maria, poi a Giuseppe, per rivelare loro il Verbo della vita. Nel primo caso, una donna venne scelta per il peccato; qui innanzitutto viene invece scelta per la salvezza. Nel primo caso, un uomo è caduto per colpa di una donna; qui risorge per merito di una vergine.
"Allora uno dei sette angeli che hanno le sette coppe mi si avvicinò e parlò con me: «Vieni, ti farò vedere la condanna della grande prostituta che siede presso le grandi acque. Con lei si sono prostituiti i re della terra e gli abitanti della terra si sono inebriati del vino della sua prostituzione». L'angelo mi trasportò in spirito nel deserto. Là vidi una donna seduta sopra una bestia scarlatta, coperta di nomi blasfemi, con sette teste e dieci corna.  La donna era ammantata di porpora e di scarlatto, adorna d'oro, di pietre preziose e di perle, teneva in mano una coppa d'oro, colma degli abomini e delle immondezze della sua prostituzione.  Sulla fronte aveva scritto un nome misterioso: «Babilonia la grande, la madre delle prostitute e degli abomini della terra». E vidi che quella donna era ebbra del sangue dei santi e del sangue dei martiri di Gesù. Al vederla, fui preso da grande stupore. (Ap 17, 1-6)


LE PREFIGURAZIONI DI CRISTO


Nel battistero ottagonale trovano posto le prefigurazioni di Cristo, quelle persone cioè che hanno preannunciato la sua venuta, raccolte attorno alla vasca battesimale a pianta esagonale, perché il momento culminante della manifestazione di Cristo fu quando a mezzogiorno (ora sesta) prese su di sé la croce della beata passione per la nostra salvezza.
Il battistero è anche un richiamo alla lavanda dei piedi: Abramo e Gedeone lavarono i piedi al Signore per ricevere la santificazione; il Signore invece lavò i piedi dei suoi discepoli non per esserne santificato ma per santificarli. Essi lavarono i piedi al Signore per cancellare i propri peccati; egli lavò i piedi dei discepoli per mondarli da ogni macchia di peccato.

Elia immagine di Cristo

In Elia che ha sofferto la persecuzione di Gezabele, donna perfida ( cfr 1 Re 19,1s), si allude tipologicamente al Signore che ha sopportato la persecuzione da parte della sinagoga, donna profana. Egli non e mai stato contaminato da cose carnali e non solo non ne è rimasto offeso, ma è stato trasportato in paradiso.
Sermone 25 d) - Attributi: ruota del carro ascesa al cielo, vasi con cui ha bagnato l’olocausto nelle sfida contro i sacerdoti di Baal, prefigurazione dei quattro vangeli

Sansone il nazareo – nazareno

Il nostro Signore e Salvatore fu chiamato «Nazareo» sia per il nome del luogo, vale a dire da Na-zareth, sia per il sacramento della Legge venivano chiamati nazarei, coloro che con un voto particolare offrivano a Dio la loro castità; lasciando crescere la chioma sulla loro testa..
Anche a Sansone convenne l'appellativo di nazareo per un altro motivo: perché fu uomo potente nello spirito e forte nel coraggio; non fatichiamo a riscontrarvi in figura esempi anticipativi del Signore. Sansone disponeva di una capigliatura a sette trecce; Cristo dispone di uno spirito settiforme e gli appartengono sette Chiese. Tutto il vigore di Sansone era nel capo; tutta la forza del Signore è in Dio. In Sansone la vigoria era occulta; in Cristo nascosta è invece la divinità. Sansone squarciò in due un leone anche il nostro Signore e Salvatore, quando sulla croce stese le sue mani, fece a pezzi quel leone che è il diavolo; …Dalla bocca di un leone Sansone cavò fuori un favo di miele; il Signore strappò dalle fauci del diavolo il proprio popolo, così che in virtù della fede esso divenne gustoso come il miele.
Sansone, sprangate le porte della città, viene rinserrato dentro; pure il Signore viene chiuso entro una tomba sigillata. …Sansone, infranti i chiavistelli e prese le porte sulle sue spalle, se ne va via tranquillo; il Signore, pienamente libero, si sottrae al potere della morte, sfondati gli ostacoli della sede infernale e spalancato il sepolcro, ripreso pari-menti il proprio corpo.
Tractatus VII - Attributi: catene ai polsi, porte di Gaza

Abele prefigurazione di Cristo

Abele era pastore di pecore. Prefigurava in sé l’esempio di colui che nel vangelo dice: “Io sono il pastore buono. Il buon pastore offre la propria vita per le sue pecore” (Gv 10,11). In Abele precorre l’immagine, perché in Cristo si manifesti la verità. Il primo è pastore della terra, il secondo è pastore del cielo. Il primo è pastore di animali, il secondo è pastore di martiri. Il primo è pastore di pecore prive della ragione, il secondo è pastore di pecore dotate di ragione.
Sermone 23 c) - Attributi: abiti tradizionali da pastore, vincastro e pecora

Augusto e la signoria di Cristo

Infatti era necessario che il primo censimento di tutto il mondo non si effettuasse in un altro tempo se non quando è nato colui che doveva censire il genere umano; e neppure sotto un altro imperatore, se non sotto colui che per primo prese il nome di Augusto, perché vero ed eterno Augusto era colui che è nato dalla Vergine. Il primo Cesare Augusto era un uomo, il secondo è Dio; il primo era imperatore della terra, il secondo è imperatore del cielo; il primo era re degli uomini, il secondo è re degli angeli.
Sermone 32 a) - Attributi: tunica romana, corona di alloro

Il Segno di Giona

Perciò egli potè affermare che in futuro, nel giorno del giudizio, il popolo di Ninive sarebbe sorto a condannare il popolo giudaico, dal momento che i niniviti ascoltando un solo profeta gli prestarono fede e di conseguenza fecero penitenza pur non avendo egli operato alcun segno; mentre il popolo dei giudei non volle prestare ascolto ad un nugolo di profeti che concordemente annunciavano l'avvento del Signore,
Giona, inviato a predicare ai niniviti, deve sopportare la tempesta del mare; anche il Figlio di Dio, inviato dal Padre ad annunciare al genere umano la salvezza, deve affrontare la persecuzione scatenata dal popolo giudaico. In quel caso il vento solleva contro Giona i flutti del mare; in questo caso lo spirito immondo solleva la plebe contro il Signore. Inoltre come la nave sulla quale si trovava Giona, dopo che si fu scatenata la tempesta, veniva sballottata qua e là da onde contrapposte, allo stesso modo la sinagoga, nella quale c'era il Signore, veniva spinta dai più diversi spiriti immondi per travolgerla fino al rischio di incorrere nel pericolo di morte.
Ma come Giona non potè venire divorato dal cetaceo, né essere trattenuto più a lungo vivo dentro le sue viscere, allo stesso modo anche la morte vorace ha bensì inghiottito il Signore; ma, poiché essa non poteva tenere dentro il vivente e colui che non può venire circoscritto, lo rigettò fuori il terzo giorno, come fece il cetaceo con Giona.
Il cetaceo, inghiottendo Giona, ributtò soltanto lui; la morte, invece, per aver inghiottito il Signore, non soltanto lui, ma molti insieme a lui rigettò.
Tractatus 32 a) - Attributi: abito azzurro mare, pergolato di zucche segno di resurrezione

Giuseppe figura di Cristo

Giuseppe prefigurava tipologicamente il Signore... aveva una tunica variopinta (cfr Gn 37,3); si sa che il nostro Signore e Salvatore ha una tunica variopinta, perché ha indossato come una vesta la chiesa radunata da vari popoli.
Giuseppe, rifiutato dai suoi fratelli, è stato comprato dagli israeliti; anche il nostro Signore e Salvatore, rifiutato dai giudei, è stato comprato dai pagani.
In cambio di Giuseppe sono state date venti monete d’oro (cfr Gn, 37,28), in cambio del Signore sono state date trenta monete d’argento (cfr Mt 26,15). Il servo viene venduto a più caro prezzo del Signore….Se fossimo stati riscattati dalla morte con oro o con argento, la nostra redenzione avrebbe avuto poco valore, perché l’uomo vale più dell’oro e dell’argento; però siamo stati redenti con un prezzo incalcolabile, perché inestimabile è colui che ci ha redenti con la sua passione.
Giuseppe sopporta la calunnia di una donna impudica, il signore spesso è stato fatto oggetto delle calunnie da parte della sinagoga. Giuseppe ha sopportato le pene del carcere, il Signore ha sopportato la passione della morte.
Sermone 24 c) Attributi: veste multicolore

CROMAZIO IL PASTORE

Fuori del portico un angelo annuncia la nascita umana del Signore, in primo luogo, ai pastori che vegliavano sul loro gregge. A nessun altro se non ai pastori spettava di conoscere per primi la nascita del principe dei pastori. Pastori di greggi, in senso spirituale, sono i vescovi delle Chiese, che custodiscono i greggi loro affidati da Cristo. Siamo sempre vigilanti nella fede di Cristo e nei precetti del Signore, custodiamo, come si conviene, i greggi affidatici da Cristo e giustamente siamo chiamati pastori della Chiesa.

Sia sempre vigilante anche la nostra devozione, perché, come l'insegnamento del vescovo incita il popolo alle opere di giustizia, così la devozione del popolo è d'incitamento ai vescovi e fa in modo che, come il gregge si allieta del suo pastore, così il pastore si allieti del suo gregge.
Poiché, dunque, in questo giorno il Signore e Salvatore nostro si è degnato di nascere secondo la carne, rallegriamoci anche noi con gli angeli d'una celeste esultanza e allietiamoci d'una spirituale letizia con fede, con devozione, con santità di cuore. Questa veglia è una festa non solo per gli uomini e per gli angeli, ma anche per il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, perché la salvezza del mondo è la gioia della Trinità.
Cromazio guida dunque il gregge affidato, composto simbolicamente oggi da cinque pecore che rappresentano i cinque continenti; al collo portano delle fasce con i colori simbolici dei continenti stessi. Le pecore rappresentano anche la Chiesa che ha diversi e svariati doni: ha i martiri, ha i confessori (della fede, testimoni, beati e santi), ha i sacerdoti e i ministri, ha le vergini e le vedove (coloro che hanno consacrato la propria vita a Dio e le vedove segno della povertà ed emarginazione), ha gli operatori di giustizia. Ma questa varietà della chiesa non è una varietà di colori, bensì una varietà di doni; di questa varietà della sua chiesa il nostro Signore e Salvatore risplende come di una veste variopinta e preziosa.(cfr veste di Giuseppe).


Infatti il Bambino è avvolto da fasce multicolore; fu avvolto in fasce, perché prese su di sé i nostri peccati a guisa di fasce, come sta scritto: Costui porta i nostri peccati e soffre in vece nostra. Egli, dunque, fu avvolto in fasce, per spogliarci delle fasce dei nostri peccati, egli fu avvolto in fasce, per tessere per opera dello Spirito Santo la preziosa tunica della sua Chiesa; e certamente fu avvolto in fasce, per chiamare i diversi popoli di quelli che credono in lui. Infatti, da nazioni diverse siamo venuti alla fede e circondiamo Cristo, per così dire, con fasce noi che un tempo fummo fasce, ma ora, ormai, siamo diventati la preziosa tunica di Cristo.

La preziosa tunica di Cristo, veste immacolata della Chiesa, viene collocata sopra la mangiatoia, appoggiata sulla croce.
In nessun altro tempo sono stati lavati i piedi delle nostre anime o sono stati purificati i passi del nostro spirito, se non quando il Signore si spogliò della tunica; allora, appunto, quando sulla croce depose la tunica della carne che aveva assunto, di cui si era rivestito, è vero, alla sua nascita, ma di cui si svestì nella sua passione. E si spogliò della tunica della sua carne per coprire le nostre nudità. Perciò la sola tunica del corpo di Cristo rivestì il mondo intero. (Ser 15,4)
Quanto al fatto che il Signore e Salvatore nostro fu posto in una mangiatoia, questo mostrava che sarebbe diventato cibo per i credenti. La mangiatoia è il luogo dove gli animali si radunano per ricevere il cibo. Poiché, dunque, anche noi siamo animali dotati di ragione, abbiamo una celeste mangiatoia intorno alla quale ci raduniamo. La nostra mangiatoia è l'altare di Cristo, intorno al quale noi ci raduniamo ogni giorno per prendere da esso il cibo della salvezza, offertoci dal corpo di Cristo. E nacque a Betlemme; e certamente conveniva che il Signore non nascesse in un luogo diverso da Betlemme. Betlemme, infatti, si traduce con «casa del pane», e questo luogo aveva ricevuto in passato attraverso una profezia tale nome, perché pane disceso dal cielo era Colui che a Betlemme nacque dalla Vergine.


I MAGI E LA SINAGOGA



Nella cappella dei pagani, adiacente al portico, trovano posto i Magi che portano i loro doni al bambino: offrirono oro in quanto egli è re; incenso in quanto è Dio; mirra in quanto lo riconoscono uomo. Anche David parlando di essi dice: I re di Tarsis e le isole porteranno offerte; i re degli Arabi e di Saba verranno portando doni. Spesso la divina Scrittura chiama il nostro mondo «Egitto». A ragione comprendiamo perciò perché i magi sono messaggeri dell'Egitto, poiché, in qualche modo, sono stati scelti a rappresentare il mondo intero; nei doni da essi offerti noi troviamo indicata l'adesione alla fede di tutte le genti e gli inizi della fede stessa.
Sullo sfondo si vede l’Egitto e la porta di Gerusalemme che essi passano per incontrare Erode.
Il Signore fu posto in una mangiatoia, perché non c'era posto all'albergo. Nell'albergo è indicata la Sinagoga, che, già occupata dall'errore dell'incredulità, non meritò di accogliere in sé Cristo. Giustamente, nell'albergo s'intende la Sinagoga, perché, come all'albergo approdano genti d'ogni specie, così la Sinagoga è diventata albergo d'ogni incredulità e d'ogni errore, per cui Cristo non vi poté trovare posto.
La Sinagoga vuota è rappresentata alle spalle dei Magi, in una raffigurazione che richiama anche il Foro di Aquileia, che poco dopo la morte di Cromazio troverà la sua distruzione. I Magi sono messi a confronto con la Sinagoga infatti poterono riconoscere la nascita del Salvatore mediante il segno di una stella. In primo luogo va detto che è stato un dono della divina condiscendenza. In secondo luogo nei libri di Mosè si legge di Balaam che fu una specie di profeta delle genti. Ma proprio qui sta la condanna dei giudei. I magi prestarono fede all'unico profeta che essi ebbero; i giudei non credettero nemmeno ad un grandissimo numero di profeti. I magi intuirono che, con la venuta di Cristo, sarebbero finiti i sortilegi delle arti magiche; i giudei non vollero capire nemmeno i misteri della legge divina. I magi confessano uno straniero; i giudei non riconoscono uno che appartiene a loro.

Presentato perciò il loro omaggio, i magi sono avvertiti di non tornare dal re Erode. Essi se ne tornarono al loro paese percorrendo una via diversa. C'è qui per noi un esempio di fede e di purezza; una volta conosciuto ed adorato Cristo re, c'è l'invito perché lasciamo la vecchia strada dell'errore antico, perché camminiamo in una via nuova, nella quale Cristo ci si fa guida, e perché possiamo ritornare alla nostra patria, cioè al paradiso dal quale Adamo fu espulso.
Anche nel presepe viene indicata la nuova via che i Magi possono solo intravedere, passa attraverso la Pasqua del Signore, la morte e Resurrezione.
Sotto il portico, alle spalle del Bambino, sei agnelli rappresentano la strage dei innocenti: “Mosè attestò che, ancora bambino, Cristo Signore non avrebbe potuto venire ucciso fintanto che era lattante; lo disse in questo modo: “Non cuocerai l'agnello nel latte di sua madre”, significando cioè la stessa cosa: che Cristo Signore - che è il vero agnello di Dio - non avrebbe potuto patire fin tanto che non fosse venuto il tempo previsto.
A Betlemme dunque tutti gli infanti vengono uccisi. Quando sono ancora innocenti essi muoiono per Cristo, diventando così i primi martiri.
Sullo sfondo il Sepolcro vuoto; si è compiuto il Mistero del Natale, il figlio di Dio, fattosi uomo accoglie su sé i nostri peccati, ce ne libera attraverso il Battesimo, ci dona sulla croce la Chiesa, vince nel Sepolcro la morte, quella della carne e quella dello Spirito.
Sorgerà una stella da Giacobbe e da Israele si alzerà un uomo, così che attraverso il segno di una stella e di un uomo, si potessero riconoscere strettamente vincolate da un unico nodo sia la natura divina che quella umana del Figlio di Dio. È per questo che anche nell'Apocalisse lo stesso Signore rende testimonianza a sé stesso, quando dice: Io sono la radice della stirpe di lesse, la discendenza di David e la stella radiosa del mattino, poiché, respinta la notte dell'ignoranza per l'origine della sua nascita, Cristo, come un astro luminoso, ha preso a splendere per la salvezza del mondo.
Il cielo contempla la scena; sopra la genealogia di Cristo l’Orsa maggiore, una immagina ancora non ben definita, sopra il portico quella Minore, con l’indicazione precisa del piccolo carro e la stella polare punto di specifico riferimento, sui Magi la costellazione dei Pesci, dove, secondo Keplero nel 7 a.C. ci fù la triplice congiunzione nei mesi di maggio, settembre e dicembre di Giove con Saturno, evento che si manifesta circa ogni 800 anni.


Bibliografia


La Bibbia di Gerusalemme (CEI)
C.E. Dehoniano, Bologna 1974


Lessico di iconografia cristiana
Gerd Heinz Mohr I.P.L., Milano 1984


La Chiave
Luciano Bartoli - Lint, Trieste 1998


La Benedizione del Natale
Joseph Ratzinger - Queriniana, Brescia 2005


Dizionario enciclopedico della Bibbia e del mondo antico
AA.VV. – Editrice Massimo, Milano 1994


Dizionario culturale della Bibbia
AA.VV. – SEI, Torino, 1992


USI E COSTUMI dei tempi della BIBBIA
Ralph Gower – ELLEDICI, Torino, 2000


Episodi e personaggi della Bibbia
A cura di Stefano Zuffi– ELECTA, Milano, 2004


Sermoni liturgici
Cromazio di Aquileia - Edizioni Paoline, Roma, 1982


Commento al Vangelo di Matteo/1
Cromazio di Aquileia - Città Nuova Editrice, Roma, 1984

Commento al Vangelo di Matteo/2
Cromazio di Aquileia - Città Nuova Editrice, Roma, 1984

Il mistero pasquale in Cromazio di Aquileia
Duilio Corgnali - Editrice La Nuova Base, Udine, 1978


Siti multimediali


www.La Bibbia on line
www.it.wikipedia.org
www.qumram.it


SCHEDA TECNICA


Dimensioni: 100 x 240 cm
Altezza scena: 60 cm
Altezza da terra : 125 cm
Personaggi: da 18 cm numero 8
Personaggi: da 18 cm numero 7 - costruiti
Personaggi: da 12 cm numero 10
Personaggi: da 6 cm numero 5
Animali: varie misure numero 27
Punti luce: numero 22
Potenza totale: 564 watt in 4 fasi


MATERIALI USATI
Polistirolo: 12,50 mq
Faesite: 3,80 mq
Pareti vetroresina: 1,60 mq
Tela: 1,50 mq
Gesso scaiola: 16 Kg
Colla vinilica: 4 Kg
Colori in polvere: 1 Kg
Viteria: 1 Kg
Listelli di legno: 44 ml
Cavi elettrici: 35 ml
Fibre ottiche: 30 ml


REALIZZAZIONE: Marco Soranzo
COSTUMI: Amalia Stagno