martedì 3 novembre 2009

3. 2007 - Il Natale di LUCA e MATTEO: Gesù luce del momdo e salvezza delle genti




Premessa:
Gesù Luce del Mondo, Salvezza delle Genti

Questo è il tema del Presepio 2007, una rappresentazione tradizionale, della Natività, secondo una lettura dei testi Evangelici di Matteo “l’ebreo”, Luca “lo storico” e Giovanni “il teologo” interpretati con scrupolosa fedeltà letteraria, ma anche alla luce dei testi biblici, specie profetici, degli studi di biblisti, teologi e storici, le chiavi dell’ archeologia, gli usi e costumi del tempo, frutto anche di una lunga e spero approfondita ricerca.
Una rilettura dei testi evangelici è l’occasione per delle riflessioni che vadano al di là del testo letterario stesso, della “storia del Natale“ raccontata in mille modi, contornata ed arricchita da particolari apocrifi o di tradizionale immaginazione, entrati così in profondità nella memoria collettiva, tanto che a volte viene confuso ‘il rivelato’ con ‘il raccontato’, ‘il testo’ con ‘la leggenda’.
Secondo l’esegesi storico-critica, non si tratta di una cronaca, ma di un racconto midrashico, di una composizione didascalica, dedicata ad ebrei (Mt) e gentili (Lc); viene presentato all’inizio del Vangelo ciò che poi viene rivelato: “Venne ma i suoi non l’accolsero” (Gv 1,11), nacque per morire per la Salvezza del Mondo.
Questi capitoli così brevi, ma intensi, così simili, ma profondamente diversi, andrebbero forse letti in organica continuità temporale, non spezzettati, in un ascolto devozionale di una massa di persone che, credendo di conoscere l’epilogo, ascolta distratta.



Introduzione: la struttura
Il presepio è organizzato in due campi distinti di visuale, che comunque si intersecano: uno nord-sud (verticale) e l’altro est-ovest (orizzontale).
Il primo si ispira totalmente al Vangelo di Matteo, l’apostolo esattore che parla agli ebrei e contorna il suo racconto con numerose illuminanti citazioni e riferimenti veterotestamentari.
Il secondo si completa con specifici riferimenti al Vangelo di Luca, lo storico, discepolo di Paolo, medico, che si rivolge e parla ai gentili, con precisi riferimenti temporali preziosi per la determinazione e datazione degli eventi.
Su entrambi aleggia il testo poetico e, per certi versi ermetico e profetico di Giovanni, l’Apostolo e discepolo prediletto.

Nord/sud
In questo campo viene rappresentato, su quattro piani prospettici diversi, il tradizionale racconto del Natale, la grotta, l’annuncio ai pastori e alle genti, i magi.
Est/ovest
Il piano di lettura è orizzontale, con un parziale secondo piano prospettico, quindi si tratta di scene, dei quadri d’insieme, con Nazaret – l’annunciazione, Betlemme –la venuta,l’Egitto–la fuga/strage, Gerusalemme – la presentazione/circoncisione.

Vi è una discrepanza temporale, libera scelta narrativa, ma in linea con la diversità dei due racconti evangelici.

Le chiavi di lettura
La prima lettura di entrambi i campi è semplice ed immediata, ma segni, simboli e richiami nascosti sono sempre presenti; è un po’ come una parabola, immediatamente comprensibile, ma pregna di significati, o un quadro che può piacere o no, ma per il quale i critici d’arte riempiono pagine di commenti ed interpretazioni.
Ognuno poi, secondo la propria sensibilità, legge e coglie quello che è vicino al personale percorso, tenendo sempre e comunque presente il tema del presepio:
Gesù, luce del Mondo, Salvezza delle Genti.


Piano nord/sud


La Grotta
Viene rappresentata tradizionalmente; nei vangeli non si parla di grotta, i riferimenti sono: entrati (i magi) nella casa (Mt), non c’era posto per loro nell’albergo (caravanserraglio) (Lc); quest’ultima annotazione non va letta come un mero fatto di cronaca, il dettaglio curioso di un evento, ma come il primo segno di opposizione del potere politico-religioso a Gesù, di un popolo sordo, cieco e muto.
Nel primo caso Mt si riferisce al bambino ormai già più grande, uno/due anni, adorato dai magi; quindi è presupponibile che, dopo la prima emergenza (Lc) la famiglia abbia trovato un alloggio decoroso e stabile, nel secondo Lc esclude la possibile accoglienza presso parenti o conoscenti, così come si usava un tempo visti anche i probabili legami familiari che Giuseppe conservava con la sua casa (Mt), quindi si tratta di un ricovero di fortuna e le grotte erano allora usate come stalle, ricovero degli animali, spesso facevano parte integrante dell’abitazione che consisteva in una stanza comune che inglobava la grotta, per la custodia del bestiame e la cura dello stesso. La rappresentazione della grotta è storicamente plausibile e corretta e tra i due racconti evangelici potrebbe non esserci alcuna contraddizione.



La Famiglia
La sacra famiglia composta da Gesù, Maria e Giuseppe è il nucleo e cardine di ogni presepio; presi nel loro insieme o con i due animali, rappresentano la natività, il cuore e la sintesi del racconto del Natale, l’evento misterioso attorno a cui tutto ruota, una parte per il tutto della narrazione.
Sui tre personaggi forse sappiamo tutto, generalmente vengono rappresentati: Gesù nella mangiatoia/greppia, sorridente ed a braccia aperte, segno di amore ed accoglienza, Maria inginocchiata, a mani giunte pregante, o a mani aperte adorante, Giuseppe, un po’ in disparte, quasi in ombra, in piedi con il bastone in mano, a protezione e cura della famiglia.
Nel gruppo scelto per la rappresentazione, la comunicazione si presta ad una ulteriore lettura, quella di una famiglia unita, con un Giuseppe pienamente partecipe; sollevano il bimbo per presentarlo all’adorazione del mondo, una Sacra Famiglia unita nell’amore di Dio di fronte al mistero. Una ostensione eucaristica, che valorizza il ruolo della mangiatoia, non quello di una culla di fortuna, di emergenza, ma quello del luogo del cibo, per il bue e l’asino, per ebrei e gentili: “E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità” (Gv 1,14).
Nel racconto di Luca si legge: “lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia” (Lc 2,7), frase questa che richiama in modo diretto un altro racconto ben più drammatico “Essi presero allora il corpo di Gesù, e lo avvolsero in bende …. e con oli aromatici, com'è usanza seppellire per i Giudei…. dunque deposero Gesù, a motivo della Preparazione dei Giudei, poiché quel sepolcro era vicino” (Gv 19, 40-42).


Il bue e l’asino
Per tradizione il bue e l’asino sono parte integrante ed irrinunciabile della sacra rappresentazione, fin dal presepe francescano..
In nessuno dei racconti evangelici si parla di bue ed asino, neanche nel proto vangelo di Giacomo, in quello armeno, che per altro riportano particolari o riferimenti, ad esempio la fontana della vergine, Gioacchino ed Anna ecc. vi è solo un accenno in altri apocrifi.
Il bue è segno
di sacrificio, pace nel regno messianico (Is. 65,35), di festa (vitello), di abbondanza (Lc 15,23).
L’asino invece nella tradizione ebraica è segno di nobiltà, di cavalcatura regale, l’entrata trionfale di Gesù a Gerusalemme sul dorso di un asino (Lc 19,30) e ancora nella fuga in Egitto, secondo il vangelo armeno dell’infanzia, ma anche di umiltà e servizio.
Nella vita quotidiana l’asino era fonte di ricchezza in quanto animale fondamentale per la vita dei campi e per la pastorizia, come lo è tuttora in certi contesti agro/pastorizi: bestia da soma per attrezzi, vivande, indumenti o cavalcatura, secondo le esigenze, un compagno di viaggio e lavoro indispensabile.
Rientra nella probabilità degli eventi che accompagni Giuseppe e Maria incinta nel loro viaggio verso Gerusalemme (Lc) o verso l’Egitto (Mt).
Questi due animali non sono però citati espressamente, è solo una devota tradizionale rappresentazione? La fedeltà storico/biblica al racconto, al di là di una possibile presenza non citata, si trova nel simbolismo e nella profezia: Gesù, al centro della scena tra il bue e l’asino, viene marcato dall’umiltà del Salvatore (asino) destinato al sacrifico (bue), “Tu starai in mezza ai due animali” (Ab 3,2), inoltre i due animali rappresentano rispettivamente i gentili e gli ebrei, quindi la venuta del bambino tra di essi è segno di salvezza universale.
“Essi sono entrati a far parte dell’evento natalizio attraverso la fede della chiesa nell’unità dell’Antico e del Nuovo Testamento: in (Is 1,3) leggiamo infatti”: Il bue conosce il proprietario e l’asino la greppia del padrone, ma Israele non conosce e il mio popolo non comprende. (J. Ratzinger).


Il pastore
Fuori della grotta ci sono solo due personaggi: un pastore ed un bambino, sia
perché sono simbolici, sia per non disturbare la centralità della scena.
Il pastore volge il suo sguardo verso noi, con atteggiamento di attesa, appoggiato sul suo bastone — il bambino lo ha già adorato; nello sfondo, ci sono altri pastori, questo però è particolare, è il pastore.
La pastorizia si ricollega a tutta la storia e tradizione del popolo ebraico, nomade, errante.
Gesù è il buon pastore, “Il Signore è il mio pastore” (salmo 23 di Davide), il re Davide (antenato Mt 1,5) è il re pastore, unto e consacrato che difende il gregge dall’assalto dei predoni, il bastone (pastorale) serve alla difesa del gregge, il pastore richiama Mosè (Es 13,18), è Maestro tra il suo gregge, ma è anche la figura del suo vicario in terra, quindi quel pastore rappresenta la Chiesa, (Mt 16,17) ed il primato di Pietro; per ben tre volte si svolge questo dialogo: “Simone di Giovanni, mi ami tu più di costoro? - gli rispose - Sì, Signore, tu sai che ti amo - gli disse - pasci i mie agnelli.” (Gv 21, 15 - 17).

Le pecore
 

Da quanto sopra emerge che le pecore siamo noi, i figli di Dio che formiamo la sua Chiesa; l’insieme delle pecore costituisce un gregge, destinato ad un solo unico ovile, di cui Dio stesso ha preannunciato che ne sarebbe stato il pastore (Is 40,11) e le cui pecore segnate, anche se guidare da pastori umani, sono sempre condotte al pascolo e nutrite dallo stesso Xsto, il pastore buono e principe dei pastori, la Chiesa è quindi un ovile la cui porta - unica e necessaria delle pecore - è Xsto (Gv 10-1-11), un ovile in cui vi il posto anche per la pecora (capro) smarrita (Ez 34,16).
La pecora (agnello) simboleggia inoltre Xsto, vittima condotta al Calvario (Is 53, 7) indicato dal Battista come quello che si è caricato i peccati del mondo (Gv 1,9)

Il pastorello
Il pastorello/fanciullo guarda con stupore adorante il bambino nato, guarda con i nostri occhi; rappresenta la speranza, il futuro, la purezza di cuore e la capacità di accogliere il messaggio, la semplicità della fede.
Il Vangelo infatti è riservato ai semplici: “...hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e ai saggi e le hai rivelate ai semplici“ (Mt 11,25), segno di conversione: “In verità vi dico:se non vi convertirete e diventerete come i fanciulli, non entrerete nel Regno dei cieli” (Mt 18,2), sono il simbolo dei destinatari della salvezza: “Lasciate stare, non impedite che i bambini vengano a me; di tali, infatti, è il Regno dei cieli” (Mt 19,14 - Mr 10,13), segno di altruismo, condivisione e servizio, infatti un fanciullo offrì per primo i pani e pesci per il miracolo delle moltiplicazione (Gv 6,9)

L’acqua
Sul fianco della grotta, in posizione leggermente rialzata, quasi a dominare la scena, vi è una fonte, alimentata da acqua che scaturisce dalla roccia e scorre come un fiume. E’ l’acqua mosaica dell’Antica Alleanza “Ecco io starò davanti a te sulla roccia, sull’Oreb; tu batterai sulla roccia: ne uscirà acqua e il popolo berrà” (Es 17,6) è l’acqua che salva dalla sete il popolo ebreo errante (cfr Gv 4,7 ss).
L’acqua alimenta un fonte, un bacino, diventando Giordano, è sacramentale, purificatrice, battesimale (il battesimo di Xsto è comune a tutti i Vangeli); Gesù è sceso nel Giordano, non per essere purificato , ma per dare all’acqua la forza e la virtù di mondare il corpo peccatore, il battesimo è il sacramento di accesso alla vita cristiana, così come il racconto del Natale è accesso prodromico ai Vangeli.
Gesù è venuto per vincere il peccato. La pecorella solitaria vicino al fonte, smarrita, lontana dal gregge e dal pastore, rafforza il simbolo del peccato vinto dalla grazia dell’acqua.

Le piante
Nel primo piano sono distinguibili tre elementi arborei; nella scena principale spicca una palma, segno di vittoria e di trionfo: i rami di palma all’ingresso di Gesù Messia in Gerusalemme (Gv 12,13); i rami di palma agitano in cielo, attorno al trono dell’Agnello, i beati (Ap 7,9). Emblema di martirio ed eternità.
Vicino all’acqua ci sono altre due piante, in contrasto fra loro: da una parte un albero secco, sterile, pur vicino ad una fonte, segno del peccato, dall’altra una pianta verde, rigogliosa, fruttuosa, che attinge dall’acqua l’essenza fondamentale della vita, anche se ancora un virgulto dalle potenzialità inespresse, segno della grazia.

L’angelo


La figura dell’Angelo e degli angeli, guida entrambi i racconti del Natale.
L’angelo Gabriele, il messaggero di Dio, appare a Zaccaria (Lc) annunciandoli la paternità e discendenza, appare a Maria (Lc) con l’annuncio della nascita del bambino, un angelo appare in sogno a Giuseppe (Mt) perché tenga con sé la sua sposa, una schiera di angeli annuncia ai pastori la nascita di Gesù e canta Gloria al Signore (Lc), apparvero in sogno ai Magi (Mt) perché facessero un altro percorso, e ancora è sempre un angelo che spinge Giuseppe e la sua famiglia a sfuggire alla persecuzione di Erode, e ne guida il ritorno dalla terra d’Egitto.
Gli angeli sono dunque il segno tangibile dell’unione tra cielo e terra, Dio e uomo, ritroviamo l’angelo custode nel deserto, confortatore al Getzemani, annunciatore della Resurrezione alle pie donne, stato delle anime dei giusti: “alla risurrezione infatti non si prende né moglie né marito, ma si è come angeli nel cielo” (Mt 22,30) .




I pastori e la gente
“Avvertiti poi in sogno di non tornare da Erode, per un`altra strada fecero ritorno al loro paese” (Mt 2, 12); è singolare questo versetto, i magi non compariranno più nel testo evangelico, perché dirci che fecero un’altra strada?
Dopo l’incontro con il Bambino la loro vita era cambiata nel profondo, non solo rendono omaggio e adorano, ma sono pienamente consapevoli che qualche cosa di grande e di unico è venuto sulla terra, percepiscono un nuovo disegno divino, sono i primi convertiti e discepoli lontani, quindi fanno un’altra strada, intraprendono un diverso percorso, si prefigurano come i primi missionari, inviati in terre lontane, per questo nel presepio rimangono lontani.

Il cielo

"Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama" (Lc 2,14). Il canto della schiera degli angeli irrompe nella veglia dei pastori a guardia delle greggi, sveglia gli addormentati, annuncia alle genti la buona novella, gli invita alla grotta ad adorare il bimbo nato, è il canto lieto e soave dell’infinito amore di Dio per gli uomini.
“Pace sulla terra, questo è lo scopo del Natale … la pace degli uomini discende dalla gloria di Dio. La gloria di Dio non è una faccenda privata, che ognuno può gestire secondo i suoi gusti, bensì una faccenda pubblica. Essa è un bene comune, e dove tra gli uomini non si rende gloria a Dio, lì neppure l’uomo viene a lungo andare onorato “ (J. Ratzinger)
Chi erano i pastori?
Al tempo di Gesù i pastori avevano in gran parte persa quell’aurea di regalità davidica, quella bucolica vita errante, erano considerate persone sporche perché a stretto rapporto con gli animali in condizioni igieniche disagiate, bugiarde e ladre, quindi inserite nell’ultimo posto della scala sociale, viste con sospetto e tenute lontano ( ).
Proprio a questa categoria di persone, gli ultimi, si rivolge l’annuncio dell’angelo: "Non temete, ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore.” (Lc 2, 10) e si capisce allora la loro incertezza, titubanza, quasi un timore; accorrono alla stalla, probabilmente portano i doni frutto del loro lavoro, vedono in un bimbo la fedeltà dell’Alleanza. Dopo l’adorazione, la contemplazione, si fanno messaggeri del lieto annuncio, lo proclamano a tutte le genti, con la grande gioia nel cuore, il senso di liberazione che avvertono (Salmo 96).
L’annuncio non è fatto a ricchi e potenti, mai ai semplici ed umili, che proprio per questo lo accolgono nella sua interezza, ne sono partecipi e testimoni.
Rendere queste tutto questo è un po’ complesso; i pastori e le genti sono disposti su due piani prospettici per aumentare la profondità del campo, per coinvolgere le persone anche le più lontane, in una moltitudine di popolo ed in copiosi armenti.
Nel primo piano prospettico, un percorso tortuoso ed in leggera salita, indica il percorso indecifrabile sulla via della Verità, in riferimento al Salmo 22 di Davide:
Il Signore è il mio pastore:non manco di nulla;su pascoli erbosi mi fa riposare,ad acque tranquille mi conduce.Mi rinfranca, mi guida per il giusto cammino,per amore del suo nome.
Vi è poi la grotta dei pastori, non espressamente citata nei Vangeli, ma la presenza di grotte ed anfratti sul territorio di Betlemme è notevole, quindi è fortemente probabile che in quei luoghi si rifugiassero i pastori; all’interno un incerto fuoco arde nella notte, rischiara le tenebre, diffonde tepore, riscalda i cibi, tiene lontano i predatori, questo in attesa della luce piena.


I Magi

Nella tradizione cristiana si parla di Re Magi, mentre Mt si riferisce semplicemente a dei Magi, degli astrologi, molto probabilmente dei sacerdoti dediti al culto di Zoroastro, che giunsero da Oriente a Gerusalemme, quindi dei persiani/babilonesi, anticamente rappresentati con brache, cappello frigio e mantello.
Furono le prime figure religiose ad adorare il Xsto, il bambino Gesù, il re dei Giudei, portando dei doni simbolici.
La successiva dignità regale loro attribuita serviva forse a rafforzare l’universabilità del mondo che riconosce il Xsto salvatore, o più probabilmente ad un richiamo alle profezie dell’Antico Testamento che riferiscono dell’adorazione del Messia da parte di alcuni re :
Il re di Tarsis e delle isole porteranno offerte,
I re degli Arabi e di Saba offriranno tributi.
A lui tutti i re si protrarranno,
Lo serviranno tutte le nazioni.”
(Salmo 72,10)

La tradizione indica in numero di tre, mentre nel Vangelo si parla di alcuni; questo numero è simbolico, facilmente riconducibili a quello dei doni.
Dalla tradizione armena derivano poi i nomi: Melchiorre il vecchio con l’oro, Gasparre in giovane con l’incenso, Baldassarre il moro con la mirra. Oltre alle tre età, questi personaggi incarnano un concetto ecumenico con le tre razze, bianca, gialla, africana, in coerenza ai discendenti di Noè: Sem, Cam, Jafet (Gn 9,19).
Era uso tra i popoli, e lo è ancora, che il re in visita ad un altro sovrano portasse dei doni, vedi la regina di Saba in visita a Salomone ( 1 Re 10, 2-10) come segno di rispetto, pace e potenza.
Anche i magi portano dei doni che sono simbolici: l’oro, segno della regalità, l’incenso (usato nel tempio) segno del sacerdozio di Gesù, la mirra l’unguento usato nella preparazione delle sepolture, indica l’espiazione del peccato attraverso la morte (Gv 10,39), ma anche l’unzione di Cristo (l’unto).
La presenza dei magi nel presepe è fondamentale all’intera costruzione del racconto, è fortemente catechetica, premessa della salvezza universale. I magi che vengono da lontano rappresentano in qualche modo tutte quelle persone che vengono da lontano, alla ricerca della Verità, dei diversi, dei non appartenenti, persone guardate con sospetto, ma che riconoscono chiaramente la via, mentre chi è vicino, Erode e l’ambiente di Gerusalemme che hanno a disposizione tutte le chiavi di lettura dell’AT e la profezia di Isaia non accolgono il segno del tempo: il Messia re di pace e Salvatore.

Sul fondo del presepio, a conchiuderlo, vi è il cielo, che determina il ritmo dei cambiamenti cromatici che si svolgono nell’arco della giornata, delle fasi di alba, giorno, tramonto e notte.
Nella fase notturna il cielo si riempie di stelle, non casuali o di accompagnamento scenografico, ma stelle e costellazioni reali, con evidenza del piccolo carro che con la stella polare indica in modo univoco il Nord, un punto fisso vero, un asse di lettura, quindi un cielo vero per una scena e storia vera.

La stella


Qualcuno si sarà posta la domanda, ma dove è la stella?
Nel racconto di Matteo la Stella guida i Magi. Quella tradizionale è una cometa, con il corpo principale che indica il punto e lo strascico il percorso; questa rappresentazione classica molto probabilmente ha subito il determinante influsso dell’affresco di Giotto nella Cappella degli Scrovegni, suggestionato forse dalla cometa di Halley che apparve nei cieli nel 1301.
La ricerca di una definizione astronomica della stella è stata a lungo seguita, finora senza fortuna o indicazioni incontrovertibili, in quanto, individuato il corpo celeste, sarebbe possibile definire una data precisa per “l’anno zero”, attualmente datato dagli storici tra il 7 ed il 4 a.C.
Alcuni studiosi hanno ipotizzato che non si trattasse di un singolo corpo celeste, ma di una congiunzione astrale di pianeti: Keplerò segnalò che nel 7 a.C. ci fù una triple congiunzione di Giove con Saturno - maggio, settembre, dicembre -, evento estremamente raro, poi nel febbraio del 6 a.C. vi furono in simultanea le congiunzioni di Giove con la Luna e di Marte con Saturno, entrambe nella stessa costellazione dei Pesci.
Vi è infine da segnalare che secondo gli annali astronomici cinesi, nel periodo del febbraio/marzo del 5 a.C. si verificò nei cieli l’apparizione di un oggetto brillante, probabilmente una super nova, che rimase visibile nei cieli per circa settanta giorni, periodo questo che avrebbe consentito ai Magi di giungere dalla Mesopotamia fino a Gerusalemme, mentre è da escludersi, per motivi temporali, l’apparizione della cometa di Halley, che fu visibile solo nel 12 d.C.
Corpo celeste o congiunzione di pianeti ? Nel primo caso la stella dovrebbe essere stata visibile da tutti e non sconosciuta (Mt 2, 2-7), nel secondo caso invece solo dei saggi, degli studiosi, i Magi appunto secondo la tradizione erano sacerdoti astrologi, avrebbero colto nel posizionamento dei pianeti il segno di un evento particolare nella storia. Questa ipotesi, storicamente maggiormente plausibile, sarebbe comunque in una qualche contraddizione con un Salvatore venuto a parlare ai semplici (Mt 11,25), quale può essere il senso di una manifestazione riconducibile solo ad un esiguo gruppo di persone anche se sagge e devote? Perché i pastori, gli ultimi, i semplici, non partecipano alla visione della stella? Perché Erode non vede la stella?
Il sorgere della stella era atteso dagli ebrei e profetizzato da Balaam ed Isaia:
Io lo vedo, ma non ora,io lo contemplo, ma non da vicino:Una stella spunta da Giacobbee uno scettro sorge da Israele,spezza le tempie di Moabe il cranio dei figli di Set, (Nm 24,17)
Per amore di Sion non tacerò,per amore di Gerusalemme non mi darò pace,finché non sorga come stella la sua giustiziae la sua salvezza non risplenda come lampada (Is 62,1)
Tutte queste domande ed ipotesi potrebbero avere un’unica spiegazione: La stella ha volti diversi e solo quelli che la cercano o hanno il cuore aperto possono vederla o incontrarla.
Naturalmente la stella è presente nel presepio, anche se in forma simbolica, questa stella così personale e di aspetto vario.
Io sono la radice della stirpe di Davide, la stella radiosa del mattino (Ap 22,16), la stella è sotto i nostri occhi, è il bambino Gesù, che nella mangiatoia, con la sua luce radiosa ha squarciato le tenebre della notte, del peccato.

La luce
Nel presepio le diverse luci, anche cromaticamente diversificate, l’alternanza delle fasi della giornata, la specifica illuminazione delle sue parti, non sono solo congrue alla rappresentazione del racconto, ma stimolano la percezione del percorso, guidano alla scoperta delle varie scene.
“In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre” (Gv 1,4), Gesù nasce di notte, mentre i pastori vegliano sul gregge (Lc 2,8) e porta la luce al mondo, non quella tremolante di un fuoco, di una candela, ma viene a trasformare una luce incerta, dubbiosa, in una luce forte e perenne, ad alimentare le lucerne delle vergini (Mt 25,1-13), quindi è Stella, riferimento, meta da raggiungere, ma anche percorso, redenzione pasquale, segno del Cristo risorto, luce vera del modo che illumina ogni uomo; è la luce della vita che impedisce di camminare nella notte; è il segno della vita nuova in Cristo che, strappa dalle tenebre, e trasferisce i credenti nel regno della luce battesimale che libera l’uomo dal

peccato ed alimenta la fede.
Durante il rito del fuoco della veglia pasquale il celebrante dice:«La luce del Cristo che risorge glorioso disperda le tenebre del cuore e dello spirito» , proclamando poi solennemente per tre volte :” Lumen Christi”.


Piano est/ovest




I quattro quadri che caratterizzano questo piano, sono concatenati fra loro, come segno di continuità spazio/temporale, dall’alternanza delle fasi della giornata, che guidano il percorso e da un sistema di porte e portoni, di successivi passaggi da superare.


Nazaret - l’Annunciazione

La prima scena presenta Nazaret, quasi uno scorcio del villaggio, con l’annunciazione a Maria. L’evento è ambientato in una camera “Entrando da lei…“ (Lc 1,28), situata al primo piano, quasi a dominare l’intero panorama, una stanza assolutamente spoglia ed anonima, dove tutta l’attenzione si incentra sui due protagonisti: l’angelo Gabriele, il messaggero di Dio e Maria; fra di loro, unico altro elemento presente, una pelle di agnello, segno del sacrificio di Xsto.
Non si sono porte o scuri alle finestre, ciò che avviene è sotto gli occhi di tutti, la scena si illumina nella fase dell’alba, è il principio del racconto, con luce forte e piena, in un contesto esterno di vago sapore rinascimentale.
Al piano inferiore troviamo Giuseppe nella sua bottega da falegname, intento al suo lavoro.
Che fosse un falegname, carpentiere, muratore o manovale, il termine usato nel vangelo è piuttosto generico, è confermato da un passo di Marco: “Non è egli forse il figlio del carpentiere? Sua madre non si chiama Maria e i suoi fratelli Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda?” (Mt 13,55), inoltre insegnò, come era ed è consuetudine, la professione al figlio:“Non è costui il carpentiere, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle non stanno qui da noi?. E si scandalizzavano di lui.” (Mc 6,3).
Giuseppe era quindi un artigiano, lavoratore in proprio o dipendente, non legato alla terra come un contadino o pastore, quindi in grado di provvedere alla famiglia con il suo lavoro anche in contesti diversi, Betlemme, Egitto o Nazaret, visto che la lontananza dal luogo d’origine durò vari anni, ma soprattutto era “un uomo giusto” (Mt 1,18) timorato di Dio, umile servitore, che vive nel silenzio e nella modestia il grande segno ricevuto, svolgendo fino in fondo il sua compito di padre putativo, forse non capendo, ma certamente credendo.

Giuseppe resta in ombra, per questo la sua tradizionale bottega, è illuminata con una luce fioca, nel ciclo della notte, quando in sogno gli apparse l’angelo che gli svelò il grande progetto di Dio. (Mt 1,20)
Fuori della casa, in una specie di piazzetta, troviamo una fontana, non quella degli apocrifi, detta della Madonna, presso la quale secondo quei testi ci fu l’annunciazione, ma una fonte di acqua diversa, quella del pozzo di Giacobbe: “Chiunque beve di quest'acqua avrà di nuovo sete; ma chi beve dell'acqua che io gli darò, non avrà mai più sete, anzi, l'acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna”. (Gv 4,13-14)
Accostata alla fontana troviamo un’anfora che ci riporta al primo miracolo eucaristico: la trasformazione dell’acqua in vino “Così Gesù diede inizio ai suoi miracoli in Cana di Galilea, manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.” (Gv ,11), Maria diventa il simbolo dell' Israele fedele, che aspetta da Gesù il dono del vino della nuova alleanza; inoltre, essa è colei che ha fatto compiere al Figlio il primo miracolo della sua vita pubblica, ed è perciò presentata come la mediatrice di tutte le grazie presso Gesù Cristo.
Nella triplice manifestazione del Signore che si rivela alle genti, ai Magi, i gentili, a Cana e nelle acque del Giordano, con il battesimo ad opera del Battista, questi tre miracoli esprimono il significato dell’epifania, la manifestazione del Signore (I Tm 6,14; Tt 2,13).


Betlemme - la venuta
Attraverso la porta si entra nella cittadella di Betlemme.
Viene rappresentata fortificata, cioè chiusa verso l’esterno, in posizione difensiva, staccata dal suo contesto e da ciò che la circonda e accade sul territorio, arroccata nella sua posizione, solo le porte della mura, consentono comunque il transito.

La vita stessa della città, pur nella quotidiana attività agricolo/pastorale, è conseguentemente diffidente verso l’esterno, poco accogliente (Lc 2,7); infatti tutte le porte e le finestre delle case che si affacciano sulla piazzetta interna sono chiuse, le persone sono statiche, sembrano avulse dal contesto, solo l’asinello (i gentili) che esce dalla sua stalla è in una qualche posizione dinamica, quasi di attesa.
Nei pressi della torre di guardia, troviamo un soldato romano con in mano l’editto del censimento ordinato da Cesare Augusto (Lc 2,1ss) a ricordo che la Palestina, pur essendo un “Regno amico ed alleato” era comunque sotto lo stretto controllo dell’impero romano ed assoggettata alle sue leggi, pur nel rispetto di quelle religiose. Del censimento citato da Luca, non vi è un definito riferimento storico nei testi romani, solo quello successivo di circa quattordici anni viene direttamente menzionato, ma vi è una forte possibilità storico/giuridica che avvenne realmente e con le modalità menzionate da Luca stesso.
Il censimento citato non va letto solo come un fatto giuridico/esattoriale, serviva soprattutto per l’imposizione e riscossione delle imposte, ma anche come una forma di gestione del potere, di contare i propri sudditi, come una personale proprietà e rendita, per usufruire del lavoro e dei beni altrui per mantenere ed esercitare il controllo del popolo, quindi tassazione non per una forma di condivisione dei beni, ma come tributo al potere stesso, un regno dell’uomo, leggi tributo a Cesare (Mt 22,17; Mc 12,14; Lc 20,22) a confronto con quello di Dio (Mt 6,33).
Questa interpretazione etica del censimento si collega direttamente al peccato originale la cui radice era il non fidarsi dell’Altro, di prendere per mangiare, possedere, di voler “sapere” l’altro (Gen 2-3). Così come è stato il peccato del censimento con il quale Davide volle “sapere” (2 Sam 24,22) il numero del popolo per sfruttarlo meglio, degli uomini atti a combattere per nuove conquiste, per “mangiare” la carne delle sue pecore, delle quali era pastore e custode per mandato del Signore.

Il peccato d’origine non poteva dunque essere redento se non con il suo opposto, da colui che darà il suo corpo per mangiare, affidando la sua parola agli uomini perché se ne nutrano.
A dominare la scena, dall’alto ed in lontananza, che si illumina nella fase del tramonto, la grotta con la natività e l’angelo del Gloria, così lontana, ma anche vicina ed immanente; nella notte sopra la grotta di intravedono le stelle; le più luminose formano un triangolo, segno di Dio, della trinità, ma anche della stella, la metà di quella a sei punte di Davide.


L’Egitto - la strage e fuga
Uscendo da Betlemme, passando attraverso la torre di guardia, incomincia il viaggio di esilio verso l’Egitto.
La fuga in Egitto è un episodio trattato solo nel Vangelo di Matteo. A tutti è noto che l’angelo apparso in sogno a Giuseppe, lo esorta a fuggire, per evitare la rappresaglia di Erode, poi dopo la morte del re ritornano e viene scelta Nazaret come nuova residenza, per avverare la profezia: sarà chiamato il Nazzareno (Amos 2, 10-12 Mt 2,23).


L’episodio in sé potrebbe sembrare banale, privo di reale pregnanza, ma all’origine della fuga vi è l’elemento chiave, la strage degli innocenti.
Era abbastanza comune a quei tempi, lo sarà ancora nei secoli successivi fino ai nostri giorni, magari in forme diverse e meno cruente, eliminare i potenziali nemici, quelle persone che in qualche modo potrebbero fare ombra, minare la credibilità e l’autorità del potente.
Erode, dopo la visita dei Magi ed il loro non ritorno, si pone un problema di ragion di stato: un potenziale antagonista al suo regno; ordinare la strage dei bambini di età inferiore ai due anni in Betlemme, è un atto che potrebbe essere considerato “normale” tanto da non essere storicamente registrato.
L’uccisione di una dozzina di bambini non doveva essere un grosso problema morale, magari non lo è neanche ai nostri giorni; questo fatto irrompe nel racconto del Natale, fatto di angeli, pastori, canti, doni, buone intenzioni, ponendo elementi di drammaticità inaspettata, si passa dalla colpevole indifferenza alla inaudita violenza nei confronti di bambini innocenti che possono essere considerati i primi martiri inconsapevoli.
Vi è una forte assonanza fra una strage di innocenti e la morte dell’innocente, introduce alla per noi misteriosa storia della vita che incrociamo ogni giorno, che colpa avevano quei bimbi, perché loro ? Un’eterna domanda che solo nella fede trova una risposta: è dal sangue dell’innocente che deriva la nostra salvezza, dall’agnello immolato per la redenzione del mondo.
Gesù bambino, con i genitori, inconsapevolmente prende la strada dell’Egitto, dell’esilio forzato , così come altri ebrei che per sfuggire alle persecuzioni si recarono in quella terra; è il primo ed unico “viaggio all’estero” di Gesù, ma non è un viaggio casuale o privo di significato
Ci riporta alle Genesi e all’Esodo, a Giuseppe e Giacobbe, infine a Mosè, alla strage dei primogeniti d’Egitto, preludio dell’esodo, al lungo peregrinare verso la terra promessa, fino al Sinai ed alla Antica Alleanza.
Gesù ritorna dall’Egitto (Mt 2,15), preceduto dalla profezia di Osea: “Quando Israele era giovinetto, io l'ho amato e dall'Egitto ho chiamato mio figlio” (Os 1,11), per stabilire la Nuova Alleanza, superando quella suggellata con le tavole del Decalogo con un nuovo comandamento: “Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi” (Gv 13,34), una alleanza non più incisa nella pietra, ma nei cuori, che passa attraverso l’estremo sacrificio.
Così come gli israeliti, sfiduciati, con Aronne, fondono un vitello d’oro rompendo di fatto l’alleanza prima ancora che sia compiuta (Es 32 ss), anche Pietro per tre volte rinnega Xsto (Mc 14,72), ma la grazia gli offre il perdono.


Gerusalemme - la presentazione al Tempio


Questo è il quadro finale dell’asse orizzontale.; è una duplice forzatura: temporale, in quanto la presentazione al Tempio, avvenne quaranta giorni dopo la nascita, quindi prima della fuga in Egitto, spaziale perché dal Tempio si vede il Tempio. Tutto questo ha comunque un suo significato.
L’apertura che separa la fuga con il tempio è, a differenza delle altre analoghe, chiusa da una porta; è la porta che separa la Vecchia dalla Nuova Alleanza, è la porta delle fede, che può essere aperta o lasciata chiusa.
La scena si apre nel tempio, con Maria e Gesù, Giuseppe non viene rappresentato perché il suo ruolo ora è marginale, che si sono recati per il rito della purificazione secondo la legge mosaica (Lv 12, 1-4) quaranta giorni dopo la nascita, trentatre giorni dopo la circoncisione (Ge 17,10-14), portando una coppia di tortore o colombi, (Lc 2,24) secondo quanto previsto, in alternativa all’agnello di un anno prescritto, questo ha due possibili interpretazioni: la modesta disponibilità di mezzi della famiglia (Lv 12,8), la presenza reale dell’agnello in Xsto.
Qui si svolge l’incontro con Simeone, uomo giusto e timorato di Dio (Lc 2,25), non un sacerdote, ma un frequentatore del Tempio. Si conclude così l’insieme dei riconoscimenti del bambino: Maria all’annunciazione, Giuseppe nel matrimonio, Elisabetta salutando Maria, il Battista scalciando, i pastori al gloria, i Magi seguendo la stella, Simeone benedicendo Dio, la profetessa Anna lodandolo. Non lo riconosce Erode, che anzi ordina di ucciderlo, non lo riconoscono i dottori del Tempio, che vedono in lui un ragazzo prodigio, non il Messia (Lc 2,47).


Il vecchio Simeone sembra mostrare al bambino i due regni: quello dell’uomo, la Gerusalemme terrena e quello di Dio rappresentato dal Tempio, ora privo dell’Arca dell’Alleanza. Tra i due, nel mezzo, troviamo, quale sintesi, un colle brullo, senza costruzioni, è la collina del Calvario.
La presenza del bambino nel Tempio è assolutamente singolare: la presumibile data di nascita, 25 dicembre, coincide con la festa ebraica delle luci, che ricoda come in questo giorno nel 165 a. C. Giuda Maccabeo rimosse dal tempio di Gerusalemme l’altare di Zeus posto dal re siriano Antioco e che aveva fatto di quel giorno la sua festa (2 Mac 10,5 ss). Quel giorno era diventato quello della purificazione, giorno in cui erarstato ristabilito l’onore di Dio. Per Israele quella data aveva assunto il significato della sua rinascita, la rappresentazione del nuovo inizio della creazione, di un nuovo tempo di libertà.
Già un secolo prima della nascita del bambino, la venuta del Messia era attesa per quello specifico giorno, perché egli avrebbe insegnato agli uomini ad onorare nel modo giusto Dio, dando avvio ad un nuovo corso. La festa delle luci veniva celebrata secondo la parola del profeta: “Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce” (Is 9,1).
Luca, nella sua cronologia, ha fatto coincidere la nascita di Gesù con la festa ebraica delle luci, che divenne in questo modo la festa cristiana del Natale. Giuda Maccabeo ha purificato l’edificio del tempio, il canto degli angeli preannuncia che Xsto ha tolto dal mondo le immagini degli idoli, ha costruito il tempio del suo corpo e ristabilito l’Alleanza con Dio: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere» (Gv 2,19 - 22).

Bibliografia




La Bibbia di Gerusalemme (CEI)
C.E. Dehoniano, Bologna 1974


Lessico di iconografia cristiana
Gerd Heinz Mohr I.P.L., Milano 1984

La Chiave
Luciano Bartoli - Lint, Trieste 1998

La Benedizione del Natale
Joseph Ratzinger - Queriniana, Brescia 2005


Siti multimediali


www.shalom
http://www.la/ Bibbia on line
www.it.wikipedia.org
http://www.rassegnastamoa.totustuus.it/
http://www.qumram.it/

Testi di: Vittorio Messori, Antonio Socci, David Donnini, Roland Meynet, Gianfranco Ravasi



Dati tecnici


Dimensioni: superficie mq. 1,21 (140 cm x 87 cm) h 50 cm



Materiali di costruzione


Pannelli faesite: 2,60 mq.
Pannelli polistirolo: 5,60 mq.
Pannelli compensato : 1,20 mq
Pannelli plexiglas: 0,90 mq
Listelli in legno: 12,5 ml
Tela : 1,50 mq.
Gesso a scaiola: 3 Kg
Colla vinilica: 2,5 Kg
Stucco: 1 Kg
Colori in polvere: 0,5 Kg
Colori spray: 0,5 Kg
Viti: n. 212
Chiodini: 110

Materiali vari e di consumo:
alluminio, filo di ferro, spago, sabbia, segatura, licheni, muschio, rosmarino, rametti, legno di balsa listelli e fogli, paglia, stoppie, sassi, silicone, plastica, rame, staffe metalliche ecc.

Materiale elettrico


Centralina: n. 1
Cavi elettrici: 35 ml
Fibre ottiche: 30 ml
Punti luci: n 18
Pompe elettriche: n. 2
Potenza totale in 4 fasi 395 w
Fasi fisse: n. 3 x 88 w + 2 pompe
Fase giorno: 105 w
Fase tramonto: 61 w
Fase notte: 61 w
Fase alba: 80 w

Personaggi


Statuine da 12 cm: n. 5
Statuine da 11 cm: n. 9
Statuine da 8 cm: n. 6
Statuine da 6 cm: n. 14
Statuine da 3 cm: n. 9
Pecore varie dimensioni: n. 30
Altri animali: n. 9
Totale statuine. n. 72

REALIZZAZIONE: Marco SORANZO






















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